Plov: Un cibo che sfama nutrendo di idee – Di Gianluca Donadini

– Di Gianluca Donadini

Dell’Uzbekistan è facile innamorarsi. È una terra sensoriale che attiva le percezioni grazie all’impalpabile fruscio di un drappo di seta, ai colori vibranti dei tessuti ikhat e suzani, al calore di un tappeto di Bukhara, all’inebriante profumo delle spezie del mercato Siab di Samarcanda, al canto lancinante del Muezzin, all’imponenza di rovine di antiche civiltà la cui memoria si è ormai quasi perduta. A Tashkent, la capitale, antiche madrase convivono con moderni grattacieli simbolo delle ambizioni di sviluppo economico del Paese e delle sue aspirazioni a imporsi come player energetico mondiale. Siamo in Asia Centrale, sull’Antica Via della Seta, terra di passaggi, incontri, dialoghi, integrazioni, illusioni e promesse. Un crocevia di culture, di popoli nomadi e migranti fattisi stanziali. Terra di conquiste, terra di conquistatori. Da Alessandro Magno a Tamerlano, un redentore che fece rivivere i fasti di Gengis Khan espandendo i confini dell’impero Timuride dalla Cina al Golfo Persico. Ai Russi, imperialisti con gli Zar e secolaristi con il comunismo sovietico. Moschee, madrase, tombe monumentali, necropoli godono del fascino di cupole dorate, di mosaici, archi alti e perfetti e di eleganti minareti che giocano su una linea tesa tra revival nazionalisti e voglia di Islam. Ma dopo decenni di dominazione russa il benessere economico è un bene troppo prezioso per sacrificare il progresso all’integralismo religioso. Tra la Syr Darya e l’Amu Darya, vie d’acqua e di fertilità rese instabili dalla coltivazione del cotone che ne ha sottratto vigore, abbiamo deserti evanescenti che sembrano inghiottire e annichilire l’uomo, valli fertili, montagne docili e meno docili. E un grande lago, l’Aral, fattosi mare per poi scomparire quasi del tutto. Tashkent sembra essere sulla strada di un florido sviluppo economico grazie a un percorso di solide riforme, aperture agli investimenti internazionali e liberalizzazioni di mercato. Il paese cresce demograficamente, la popolazione è giovane, istruita e ottimista. L’agricoltura è florida e vira verso forme green e sostenibili. Il cotone è voce importante ma sembrano finiti i tempi in cui il popolo era reso schiavo per il suo raccolto.  Il suolo è ricco di metalli e combustibili fossili, gas soprattutto. Il turismo cresce esponenzialmente perché Samarcanda, Bukhara e Khiva sono città belle come miniature preziose. I settori industriali di eredità sovietica sono stati ammodernati. Godono di joint- venture con società straniere che li rendono competitivi. Può così rivivere, nel popolo e nel Governo l’antico sogno di un Grande Turkestan. Ne scopriamo i valori attraverso la cucina e un piatto in particolare, il plov, un’eccellenza gastronomica che sfama il popolo nutrendolo di idee.

All’ombra di antichi gelsi si beve un tè. Alcuni uomini con i loro colorati kalpoq in testa succhiano zucchero navat mentre chiacchierano amabilmente.

Altri si concedono delle arachidi glassate ricoperte di miele e semi di sesamo. Si gioca a dama e a scacchi. Gli Uzbeki sono enfants prodiges, il governo li vuole campioni, orgoglioso del successo internazionale di giovani carneadi Gran Maestri della scacchiera prima ancora della maggior età. Siamo a inizio maggio. Il caldo è ancora sopportabile. Le more, dolcissime, cascano ovunque. Il loro destino è di fermentare e inacidirsi una volta a terra. E macchiare pietre e tessuti e mani. Per questo sono contenute da reti o rimosse ordinatamente da donne che le sollevano ostinatamente una ad una con uno scopino di saggina che le costringe a lavorare per ore piegate. Nessuna si lamenta anche se il caldo, in estate, può essere opprimente.  L’operosità è una virtù sociale; Ordine e pulizia forme di rispetto: per lo Stato, per l’ospite. Ci guardano incuriosite quando ne raccogliamo alcune dalle piante, quelle nere specialmente. Lo facevo da bambino e lo faccio ora da adulto come se fossi nei campi della mia proprietà dove i ‘muron’ lombardi segnano i lotti di terreno. In fondo la mia provincia ha prosperato sulla coltura della foglia di gelso. I bachi da seta venivano tenuti al caldo delle stalle dai miei nonni e i bozzoli venduti al chilo prima dello sfarfallamento per essere bolliti, essiccati e filati. La Via della Seta varesotta non aveva gli stessi misteri esotici dell’Asia Centrale sebbene i racconti di una vita che è stata la confini in una dimensione romantica di suo, ma ha affinità che mi ritornano narrazioni a me familiari, modi comuni, un saper fare quasi simmetrico che ritrovo qui in Uzbekistan a migliaia di miglia di distanza da casa, sulla Via della Seta.

 

IL PLOV

Lo si mangia ovunque. E lo mangiano ricchi e poveri. Ma è di certo a Taskhent dove lo si celebra nella sua grandezza più evidente. Siamo vicino alla torre della televisione di Stato, a Yunusabad. Al Besh Qozon, conosciuto come il Central Asian Plov Centre, arrivano molti Uzbeki ma i turisti sono sempre più numerosi.  I kazan sono nove, hanno una capienza di 350 chilogrammi ciascuno e sono alimentati dal fuoco vivo della legna. Si servono in media tra 5000 e 8000 porzioni di plov al giorno preparate con cura da un oshpaz che è più di uno chef per capacità, carisma e quel religioso senso di appartenenza che ne ritualizza i gesti della preparazione.  Si mangia ai tavoli che occupano una sala immensa come le hall delle stazioni metropolitane, nella veranda se la stagione è bella, cercando di comunicare con i camerieri riconoscibili dalle essenziali divise nere. Purtroppo per gli stranieri, parlano uzbeko o russo e i menu non sono in inglese, e, seppur gentili, poco possono aiutare. All’ora di pranzo l’affollamento supera il livello di guardia. Ci si trova circondati da lunghe code in attesa di una porzione di plov da portare a casa, chi con la propria gavetta in mano, chi con una semplice busta di plastica. Sedendo alla balconata del secondo piano si dominano i kazan e si osserva con agio la preparazione del plov tra oshpaz che rimestano carne e riso, rumore metallico degli arnesi da cucina, il vociare caotico dei commensali, i camerieri che fanno defluire l’infinito flusso di piatti che dai kazan prende la via dei tavoli.

UN CIBO AFRODISIACO

Lo si crede un cibo afrodisiaco e per questo viene mangiato con predilezione di giovedì, giorno ritenuto propizio per il concepimento. O di sabato perché sabato è il giorno di visita ai mercati in cui tutti si riversano in città per gli acquisti.  Poi lo si mangia sempre perché il plov è uno staple food il cui consumo oltrepassa il piacere del gusto e la soddisfazione nutrizionale: è un’icona capace di creare legami sociali, incoraggia l’amicizia e unisce la nazione. In fondo, se a un uomo rimanesse un ultimo giorno da vivere questi dovrebbe spenderlo mangiando plov quasi a significare che per l’Uzbeko una vita senza plov non sarebbe pensabile.

UNA PROPRIETA’ INTELLETTUALE DELL’UOMO DELL’ASIA CENTRALE

Olio, carne di manzo o di montone, carote gialle, uvetta, ceci, cipolla, riso e spezie. Il plov è un piatto per tutte le occasioni. Si mangia nel quotidiano o nelle celebrazioni rituali siano queste matrimoni, funerali, compleanni, business meeting, feste civili o religiose. E’ un piatto che nella sua concezione ritorna in tutta l’Asia Centrale. Ed è

motivo d’orgoglio nazionale dall’Uzbekistan al Tajikistan, dal Turkmenistan all’Azerbaijan, dal Kirghizistan al Kazakistan.  E il pilav turco, il polow persiano, e il pilau indiano originano dallo stesso concetto di cucina, quasi condividessero con il plov una genetica comune.  Nessuno sembra volersi privare del diritto di essere riconosciuto la patria del plov come se, facendolo, si rinunciasse a parte della propria identità nazionale. E benché l’Uzbekistan sia riuscito per primo a far riconoscere dall’Unesco la preparazione del plov come un patrimonio culturale immateriale dell’umanità, storici del cibo attribuiscono un’ampia origine geografica e un piano multiculturale capace di unire popoli e nazioni a questa proprietà intellettuale che, con buona pace di tutti, appartiene all’uomo dell’Asia Centrale, indipendentemente dai confini di nazioni tracciati da una mano esclusivamente politica nel corso della storia.

UN PIATTO RICCO DI SIGNIFICATI

Servito ai matrimoni è augurio di prosperità e fertilità. Ad un battesimo di speranza e di una vita luminosa e salutare. A un funerale porta sollievo al dolore dei propri cari. Il riso è simbolo di abbondanza e agiatezza. La carne indica generosità e ospitalità. Carota e cipolla sono esempi di lunga durata e facilità di trasporto. L’uvetta è simbolo di ricchezza. Eseguire con rigore una ricetta tradizionale tributa un omaggio alle generazioni di cuochi che hanno tramandato l’autenticità della preparazione. ‘Ho sperimentato con molti piatti della cucina uzbeka’ ricorda alla BBC Bakhriddin Chustiy, chef innovatore, ‘trovando tecniche alternative capaci di ridurre i tempi di cottura, adattando i gusti dei piatti uzbeki ai palati degli

stranieri e riducendo le porzioni di servizio. Ma non mi sono mai permesso di rivoluzionare il plov perché è un cibo sacro cui dobbiamo rispetto’. E qualcosa di sacro deve pur averlo un cibo nel cui nome esteso – oshi palov –  sono contenute le iniziali dei suoi ingredienti.

LA RETORICA DEL CIBO

Da Alessandro Magno alla Via della Seta passando per il Regno di Tamerlano, la regione storica della Transoxiana è ricca di cultura e leggende. E il plov sembra entrare con forza nella narrazione di un popolo che ha bisogno di miti capaci di magnificare una storia secolare e gloriosa per ancorare la nazione a una comune radice patriottica e identitaria. Afrosyab diviene nell’epica di palazzo la mitica città stato che ha fatto grande Samarcanda nel VI secolo prima che la città diventasse la capitale del regno di Amir Temur, invincibile guerriero, eroe giubilato

con ogni cerimoniosa devozione. E il cibo stesso diventa ragione di Stato, confinato nella retorica di un racconto che ne rende mitiche le origini come se il tracciamento di un cibo attraverso secoli

di storia ne ritorni una forza vivifica e nutriente più forte di quella degli stessi ingredienti.  Nessuno sa attribuire con precisione se il plov sia stato inventato per sostenere l’esercito di Alessando Magno durante la campagna d’Asia o se questa sia una leggenda creata ad arte nel tentativo di nobilitare le origini di un piatto caro alla nazione. Certo è che già dal IX secolo, dopo la conversione all’Islam delle terre che oggigiorno formano l’Uzbekistan, il plov era entrato a far parte della cultura nazionale. Perfino Avicenna, filosofo e medico erudito, si scomodò a la

sciarne una ricetta. E ancor più famoso divenne il plov sotto il regno di Tamerlano perché un cibo che sfamava eserciti gloriosi e vincenti aveva un’importante funzione

militare, in pace e in guerra. Acquisiva cioè un’aura gloriosa in patria grazie ai successi militari di Tamerlano e diventava strumento di assoggettamento culturale dei territori conquistati se è vero che nulla più dell’accettazione di un cibo che non ci appartiene sia segno di assimilazione di una cultura diversa dalla nostra. In fondo siamo quello che mangiamo. E mangiare il cibo del nemico significa accettare di condividerne principi, leggi, modi e radici. Come un innesto che cresce bene e vigoroso sulla pianta che si trova costretta, suo malgrado, ad ospitarlo.

LE RICETTE

Le varianti del plov sono molte. La fantasia dell’uomo è illimitata e la cucina è terreno fertile di ideazione. Questione di sensibilità. Questione di territorio. Questione di ingredienti più o meno familiari. Nel solo Uzbekistan gli antropologi hanno classificato più di 200 ricette codificate dall’uso quotidiano e domestico di un popolo abituato a fare di necessita virtu’. Altre ricette sono messe in opera dall’intuito di chi, amante di una cucina più gourmet, con la materia crea perché nella creazione di ricette sperimenta un tocco divino. Ogni provincia ha il suo plov e ogni città lo coniuga con personalità.  Il plov di Samarcanda è diverso da quello di Khorezm e questi sono diversi da quello della Valle di Fergana. E il plov di Tashkent non può fare a meno dei piselli nohat, dell’uvetta e della curcuma. C’è chi sostiene che gli ingredienti debbano essere presentati a strati in speciale sequenze di riso, verdure e carne e chi invece li mescola per un perfetto blend. C’è chi preferisce una rosolatura della carne nel grasso o procede con una bollitura leggera.   Più la festa è opulenta e gioiosa più il plov si arricchisce di elementi decorativi che ne impreziosiscono la presentazione. Uova di quaglia, involtini di vite, melagrana, salsicce kazi sono i complementi che arredano le preparazioni più ricche e festose. Se invece si ricordano le virtù di un defunto anche il plov assume un tono più rispettoso perché è l’umore dell’oshpaz a darne la sobria misura. Gli atti comuni alla miriade di ricette esistenti prevedono la cottura degli ingredienti in olio di semi (girasole, lino, cotone) e grasso di pecora. La cipolla è aggiunta a fette sottili all’olio che frigge. Poi è la carne a sfrigolare rumorosa alla fiamma vivace. Infine le carote gialle tagliate sottili a Bukhara e Samarcanda e rese in fiammiferi più spessi a Tashkent si ammorbidiscono sprigionando il ricco sapore. Ed è subito tempo di aggiungere l’uvetta, bionda e nera, e le spezie a completare lo zirvak, questo intingolo saporito di carne, spezie e verdure in cui l’oshpaz cuocerà il riso previa aggiunta allo zirvak di acqua abbondante. Fritto e successivamente bollito, il plov è poi finito al vapore affinché il riso elimini gli eccessi di brodo e acquisti consistenza e nitidezza di chicco riunendo diverse cotture in un piatto gustoso e saporito non certo povero di calorie. Gli Uzbeki sono stati per secoli contadini che lavoravano la terra secondo ritmi usuranti che richiedevano cibi sostanziosi capaci di sfamare. E il plov è stato, ed è, un cibo indispensabile per il nutrimento del popolo, in termini di calorie, in termini di idee.

C’È RISO E RISO

Devzira, Alanga, Laser, Avangard. Coltivato nella Valle di Fergana o a Korezhm.  Il riso non è tutto uguale. Varia il colore, la forma del chicco, il contenuto in amido, la capacità di assorbire acqua in cottura. Abbiamo risi rossi, bianchi, gialli o neri e infinite varietà cosi di nicchia da essere conosciute esclusivamente dalle popolazioni locali, da fini conoscitori della cucina uzbeka, da gourmet affezionati al riso solamente. E variano i prezzi a seconda delle varietà e dei mercati con la capitale Taskent e la varietà Laser tra i più cari. Un kg di riso può costare da 11000 a 25000 sum e i prezzi sembrano in ascesa, colpa dell’inflazione. Purtroppo, o per fortuna, il riso richiede acqua per crescere prosperoso e le sfide imposte dai cambiamenti climatici e dallo storico malvezzo russo di abusare dell’acqua dell’Amur Darya, che è fiume e madre per gli Uzbeki, per la coltivazione del cotone hanno stimolato il Ministero dell’Agricoltura a ricercare soluzioni sostenibili di coltivazione.  Il riso in realtà non manca. La produzione copre il fabbisogno nazionale e nessuno dovrà rinunciare a un piatto di plov in nome dei cambiamenti climatici e della sostenibilità ambientale. Ma è buona cosa assicurarsi un futuro. E in uno Stato in cui la popolazione è raddoppiata in poco più di vent’anni, l’agricoltura fiorente è un’idrovora assetata. L’apertura di canali artificiali in Turkmenistan e in Afghanistan sottraggono portata ai corsi d’acqua e sono allo studio varietà che tollerano bene la siccità, temperature estreme, elevata salinità del suolo e malattie e che possano garantire giuste rese e soddisfazioni gustative.

GLI OSHPAZ SONO UOMINI MA…

La preparazione del plov è lasciata tradizionalmente agli uomini nei ristoranti, nei mercati, in occasioni di feste e celebrazioni. Un vecchio adagio suggerisce che sia un uomo a cucinare il plov all’aperto se si vuole avere una preparazione davvero gustosa. Tra le mura domestiche sono invece le donne a cucinarlo per la famiglia. La tradizione divide con precisione quali compiti siano maschili e quali femminili e su queste divisioni dei ruoli ha fondato per secoli, e ancora fonda, il successo e il benessere della società uzbeka.  Anche in un paese conservatore come l’Uzbekistan pero alcune tradizioni potrebbero sembrare anacronistiche se oggi abbiamo donne che cucinano il plov sui social network o in masterclass per turisti smarcandosi dal retaggio culturale di un tempo. Smarcamento iniziato con i Russi, prima zaristi e poi comunisti, che hanno governato il paese per più di 70 anni portando il verbo imperialista e sovietico nel cuore dell’Asia Centrale, con buona o cattiva sorte a seconda dei casi, ma che di certo hanno laicizzato il ruolo della donna nella società civile malgrado l’Uzbekistan rimanga un paese musulmano.

 UZBEKISTAN E ISLAM

Impossibile non accorgersene. Madrase e moschee sono tra i più bei monumenti di Tashkent, Samarcanda, Bukhara e Khiva. I minareti ammaliano per forme e decorazioni. I colori sono quelli dell’islam: domina il verde e l’azzurro. Il Muezzin recita l’adhan richiamando i fedeli alla preghiera di dhuhur. L’Uzbekistan cerca di vivere l’Islam con rispetto ma allo stesso tempo con una buona dose di laicità e pragmatismo. Dopo decenni di modernizzazione e secolarizzazione in salsa Sovietica, gli estremismi religiosi faticano a trovare un terreno fertile in un contesto culturale diffuso in cui il benessere della nazione è un valore che supera la radicalizzazione di ogni credo. Grazie a Islom Karimov, primo presidente della Repubblica, il governo Uzbeko ha condotto una lotta senza tregua all’integralismo religioso. I partiti islamici sono fuorilegge. Le leggi antiterrorismo sono severe. L’ostentazione di simboli religiosi, specialmente nell’abbigliamento e a partire dal velo, mal tollerati. Gli insegnamenti religiosi sono riservati a istituti riconosciuti dallo Stato, mentre scuole e università restano laiche. Laici sono ovviamente gli apparati dello Stato, la separazione Stato religione è netta. In un paese in cui il 94% della popolazione è musulmano un controllo capillare dello Stato è la ricetta con cui l’Uzbekistan cerca di combattere il proselitismo da parte di organizzazioni islamiste in qualche modo legate alla galassia jihadista. L’Afghanistan è un vicino di casa scomodo da cui l’Uzbekistan dipende per l’acqua e con cui, per questo, dialogare, ma da cui in qualche modo guardarsi per il fanatismo religioso dei Talebani. In fondo il revival islamico post sovietico rimane in larga misura un fenomeno di riscoperta culturale e di rivendicazione di un patrimonio nazionale che non sembra influenzare la vita quotidiana più di tanto.  La radicalizzazione religiosa permane però un pericolo costante di fronte al quale il Governo non può abbassare la guardia e limitare l’autonomia religiosa è il costo, dovuto e voluto, per evitare che l’Islam emerga come forza politica in grado di minacciare la sicurezza nazionale e di tutta la regione.  E in un paese islamico il cammino verso l’inclusione, la giustizia, la sicurezza e l’uguaglianza per le donne è lungo e tortuoso e si scontra sia con gli stereotipi di genere diffusi sia con rigide norme culturali che frenano l’emancipazione femminile.

GUARDIANO DEL FOCOLARE

La donna rimane il guardiano del focolare specialmente nelle campagne benché il suo ruolo stia crescendo in tutti i settori sociali e svolga funzioni sempre più importanti nella vita pubblica, ricopra posizioni di leadership e conduca affari. Si vede qualche capo coperto questo è vero, ro’mol più che hijab. Spesso sono semplici foulard che indicano la vedovanza più che simboli religiosi. Ma la donna uzbeka, vestita di colori sgargianti per i parametri occidentali, è curiosa e aperta, intelligente e dinamica. Sorride orgogliosa mostrando i denti d’oro che ne attestano il lignaggio sociale. Non nega quasi mai una foto e di questo noi Occidentali siamo grati perché una donna uzbeka è un’oasi di colore raggiante di una bellezza pasoliniana. E non stupisce quasi più vederle alla guida degli autobus elettrici della capitale malgrado il ruolo di madre e puericultrice rimangano capisaldi strutturali della società uzbeka e il raggiungimento di una perfetta uguaglianza tra i sessi, sancita dalla costituzione, ancora un obiettivo sfidante che impatta sui diritti e l’autonomia delle donne.

UN COMPROMESSO TRA TRADIZIONE E MODERNITA’

Zhara ha 35 anni e ha sposato un Tataro. Fa la guida turistica come il marito, lui nella valle di Fergana, lei nei tour classici delle città della Via della Seta. Presto avrà una licenza per la sua agenzia di viaggi a testimonianza che le donne si emancipano e si fanno capitani d’impresa. Nata in città, è laureata ma ha seguito il marito in campagna dove abita a un’ora di auto da Samarcanda. ‘Così la casa è più grande perché in campagna le case costano meno’. Le famiglie uzbeke in cui convivono più generazioni hanno bisogno di ampi spazi e di un vasto cortile che è il luogo della vita collettiva della famiglia. Non mancano giardini dove crescere ortaggi e alberi da frutto che garantiscono un riparo dalle torride estati. Zhara abita con la suocera che cura le figlie perché il lavoro la porta, come il marito, lontana da casa. ‘La figura della suocera è importante nella società uzbeka’ ci tiene a sottolineare. ’Noi Uzbeki abbiamo il culto degli anziani e in qualche modo le dobbiamo rispetto e ubbidienza. Non si tratta di sottomissione. Io la chiamerei una forma di cortesia. Vedi, a me non costa nulla chiederle cosa desidera per cena e cucinare quello che gradisce o, quando sono a casa, accudire gli animali. Non so se mia suocera approvi il mio lavoro che mi porta lontana dai figli e da mio marito, mi tiene sempre a contatto con turisti stranieri e mi costringe a dormire sola negli hotel. Ma è per lavoro.  Lo accetta di buon grado perché vede i vantaggi economici di due stipendi al mese per la nostra famiglia. Il progresso richiede adattamento che non significa rinnegare le proprie tradizioni ma accettare un giusto compromesso con la modernità’.

MOTIVO DI ORGOGLIO

Cucinare il plov è motivo di orgoglio. Ed è uno smacco personale se i commensali non finiscono il plov ripulendo con le mani il lagan, il grande piatto di portata in cui il plov è servito. Perché se ai turisti viene concesso di mangiare il plov con una forchetta, l’ospitalità uzbeka è proverbiale, gli uzbeki continuano a mangiare il plov con le mani almeno fino a quando questo angolo di mondo sospeso tra Oriente e Occidente non cederà al fascino della globalizzazione. Scrivendo di cibo conosciamo bene quanto orgogliosi e competitivi siano gli chef. E non ci stupiamo che siano famosi in tutto il paese contest di cucina in cui professionisti e privati cittadini mettono alla prova le loro abilità culinarie. Il pubblico segue con attenzione ogni agone nelle campagne e nelle città. Il governo guarda con plauso un popolo che trova in un simbolo del desco motivo di orgoglio personale. In fondo il plov è materia di interesse nazionale, la retorica sul cibo strumento politico d’identità nazionale e la cucina spopola in tutti i palinsesti e riempie ogni spazio di quel contenitore apparente virtuale che è il web a qualunque latitudine del mondo. E alle Olimpiadi del nazionalismo culinario l’Uzbekistan è risultato vincitore riuscendo a preparare un plov di 7360 kg in occasione del festival O’zbegim di Tashkent in cui 50 top chef hanno brillantemente gestito 1500 kg di carne, 1900 kg di riso, 2700 kg di carote, 220 kg di cipolle e 440 litri di olio, entrando nel guinness dei primati per il plov più grande del mondo. E ce li vedo questi Uzbeki che si abbracciano di gioia come degli adolescenti a fine competizione facendo morire di invidia Azeri, Tajiki e Turkmeni, perché “noi ce lo abbiamo più grande”. Il plov, ovviamente, che avevate capito, che rimane, a queste latitudini, una vera ossessione. E un contatto tra uomini così diretto fatto di abbracci, giubilo e gaia vicinanza non sembra destare sospetto in un paese dove l’omosessualità è fuorilegge e i diritti lgtb materia che ha bisogno ancora di studio per una legittimazione.

IL PREZZO DEL PLOV UN BAROMETRO DELL’ECONOMIA

Siamo in un paese in cui l’indice del plov è un parametro economico pubblicato mensilmente dall’Istituto Nazionale di Statistica. Utilizzando il piatto più iconico della cucina Uzbeka, lo Stato dà un’indicazione, seppur informale, del costo della vita. Niente di nuovo concettualmente sotto gli assolati cieli uzbeki perché da anni The Economist ha introdotto l’indice Big Mac basato sui prezzi del famoso panino di McDonald’s per valutare il potere d’acquisto delle principali valute e circola un Tall Latte Index che misura il costo della vita utilizzando come unità di riferimento il prezzo di un caffè di Starbucks. L’indice del plov si calcola tenendo in considerazione i prezzi medi dei suoi ingredienti e cioè di carne, carote, cipolle, olio e riso; considera i costi della farina per fare il pane e valuta il costo medio orario di gas e elettricità necessari per la preparazione. Ma un piatto di plov quanto costa a porzione? ‘Dipende…’ mi dice Zhara. ‘Se la stagione è troppo arida le carote crescono male, sono piccole e i raccolti si riducono: i prezzi al mercato vanno alle stelle. Nel 2023 una forte siccità ha colpito il Kazakistan che ha esportato meno carne in Uzbekistan.  Così il prezzo del plov è salito’. Non stupisce che a giugno 2023 il plov più caro fosse venduto a Tashkent a 2.45 dollari a porzione. A Samarcanda il costo era di 2.20 dollari mentre il plov meno caro del paese era venduto a 1.68 euro nella Valle di Fergana. E se consideriamo che il plov è consumato con un’insalata achchik – cuchuk, una fetta di kazi, un bicchiere di Compote e abbondante tè, un avventore spenderà 40000 sum per un pasto nutriente e, per i turisti, a buon mercato. Plov index… plov caput mundi.

PARTENARIATO CON L’ITALIA

Il Governo desidera promuovere il paese all’estero. Gli ingressi in Uzbekistan si liberano dei visti, gli addetti al turismo ricevono una solida educazione, i posti letto aumentano,

si costruiscono aeroporti a forma di libro e si ampliano i collegamenti internazionali. Come ci hanno insegnato i Romani le strade sono importanti per lo sviluppo e il consolidamento di un impero e i progetti del Traceca tessono la tela dei collegamenti tra Europa e Asia Centrale passando per il Caucaso. I social media sono megafoni di diffusione che il governo non sottovaluta. Influencer e blogger stranieri diventano ambasciatori delle ricchezze del Paese cui il governo ricorre per creare visibilità e riconoscibilità all’estero.  E la cucina è un riferimento importante di questo progetto.

L’ Italia ha stretto un partenariato strategico con l’Uzbekistan nel 2023 sulla scia del Trattato di Amicizia e Cooperazione del 1997. La visita del Presidente Myrziyoyev a Roma ha definito la costituzione di un dialogo strategico tra le due Repubbliche da tenersi su base biennale. La visita di Mattarella nel paese asiatico a novembre dello stesso anno ha confermato gli stretti rapporti di cooperazione tra gli Stati. L’Italia è infatti il terzo partner commerciale Ue con la Repubblica Uzbeka e le collaborazioni con il paese asiatico spaziano dal settore industriale a quello agricolo, dai trasporti all’istruzione. ‘Sono moltissime le materie di collaborazione’ sottolinea Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni in visita a Samarcanda lo scorso maggio. ‘Ci sono investimenti già attivi per circa 3000 miliardi oltre a quelli in discussione per altri 2,4 miliardi’.  L’Uzbekistan è un paese con un tasso di crescita annuo superiore al 5%. Vuole modernità e progresso. E’ aperto ai capitali stranieri e agli investimenti. Ha una popolazione giovane, istruita, educata e ottimista.  Il settore turistico è in grande espansione e richiede strutture alberghiere oggi spesso insufficienti a soddisfare le richieste di un mercato sempre più interessato alla Via della Seta. Perché non cogliere un’occasione commerciale e di business attraverso la Camera di Commercio Italo Uzbeka? In fondo già Marco Polo si era innamorato di queste terre, di cui l’esploratore veneziano ricorda ne Il Milione di averne parlato molto ma mai abbastanza.