Casa, chiesa e putia
-di Gianluca Donadini
Sono più di ottocento le isole minori d’Italia. Di queste, 27 sono abitate. Occupano lo 0.3% del territorio nazionale e vi risiedono circa duecentomila abitanti. Hanno dimensioni ridotte. I collegamenti sono assenti o, spesso, intermittenti malgrado la continuità territoriale sia un principio che trova fondamento in diversi articoli della Costituzione. La rete elettrica non è interconnessa alla rete nazionale. Spesso l’acqua arriva con le bettoline. Malgrado siano poco popolate e risentano di un isolamento pronunciato presentano una grande varietà di paesaggi, ecosistemi e storie, offrendo un’esperienza unica ai visitatori. Di queste, Linosa è isola di alto mare per eccellenza. 52 chilometri da Lampedusa, poco più di 170 chilometri da Porto Empedocle, l’isola è una terra piccola del Canale di Sicilia, un paesaggio di poco meno di 5.5 chilometri quadrati di rocce laviche e crateri vulcanici spenti punteggiati di lentischi, olivelli, piante di cappero e timo dove la vita, i residenti sono quattrocento, è regolata dai venti e dalla forza del mare. Perché a Linosa ‘u dici u tempu’ se si parte o si arriva, in traghetto, o in aliscafo d’estate, o se gli approvvigionamenti di generi alimentari freschi sono regolari anche se poi, in fondo, ‘bon tempu e malu tempu, non dura tuttu ‘u tempu’.
A Linosa, isola delle Pelagie, l’approdo è difficile. Non esiste una diga foranea che protegga l’attracco. La nave si appoggia al molo e ha bisogno di mare calmo per completare le operazioni di sbarco. Se c’è vento la nave non arriva a meno che il comandante non decida di tentare l’attracco, il vento si calmi o lo scirocco giri in maestrale. D’inverno si rimane senza nave per giorni. L’aliscafo già è sospeso da tempo. Così Lampedusa e Porto Empedocle sono più lontane delle miglia nautiche che separano da questa terra d’alto mare. “U dici u tempu’ se si può partire o arrivare; se si può andare in campagna o stendere il bucato” mi dice convinta Cristina Errera che gestisce col fratello Giovanni un ristorante a Scalo Vecchio. E ‘u dici u tempu’ se in negozio c’è la mozzarella fresca; se l’ortolano arriva oppure no; se la posta può essere distribuita; se le bombole di gpl scarseggiano. Da sempre i Linosani sono abituati a guardare il cielo prima di iniziare la propria giornata. A Linosa ‘u dici u tempu’ quello che si può e che non si può fare.
UN’ISOLA CINICA E ESSENZIALE – Malgrado le difficoltà di approdo, l’isola è bellissima. Un’isola di acqua, aria, terra, fuoco, cinica ed essenziale perché la sopravvivenza non ammette sprechi. Bisogna bastare a se stessi. E i Linosani, giunti in una terra poco materna e munifica per un progetto di colonizzazione dei Borboni, hanno imparato come Linosa, isola eccellente tra le tante isole, dia forma al corpo, al carattere, alla psicologia di chi vive in simbiosi mutualistica con un orizzonte di piccole cose. Così il Linosano sa essere uomo di scoglio e di mare aperto, uomo isola, uomo continente, fatto d’orgoglio, forza d’animo, testardaggine, permalosità e diffidenza ma generoso nell’ospitalità e, soprattutto, paziente nell’attesa.
Non è facile vivere a Linosa. Spesso mancano servizi ritenuti essenziali altrove. In queste condizioni d’isolamento gestire un negozio di alimentari è un’impresa. Ne parlo con Renato Errera ed Elvira Tuccio. Gestiscono con Maria, sorella di Elvira, un minimarket in Via Alfieri. Elvira è una bella donna. Come tutte le creature dell’isola ama stare in disparte pur essendo cordiale. Nata per caso a Saronno, in Provincia di Varese, suo padre, linosano, lavorava per Ferrovie Nord Milano a quei tempi, ama l’isolamento dei Faraglioni e mal sopporta la città. In lei rimane ancora lo sguardo gentile della ragazza che stava alla cassa della sala da ballo dell’isola, una terrazza a cielo aperto, ormai chiusa da tempo, sul mare e su Lampedusa, laggiù distante e visibile nelle giornate più nitide, poi divenuta la casa di Giò il pittore ed ora la mia dimora nei soggiorni a Linosa.
Il negozio ha tutto malgrado i rifornimenti siano affidati a collegamenti marittimi influenzati dai capricci del tempo. Prova a gestire anche salumi e formaggi, quelli stagionati specialmente. Si trovano sfizi locali come capperi e lenticchie se la stagione non è stata troppo ventosa e la pioggia è caduta nei periodi giusti. La cantina dei vini è ampia. Pasta, riso, conserve varie: non manca niente. Faccio la spesa qui quando sono sull’isola. Anche se non tralascio di passare qualche volta nella bottega di Clorinda. Via Alfieri ha un grande ficus, imponente, che abbraccia il paese. Poi sono oleandri e belle bouganville ai lati della strada. Una, monumentale, è all’ingresso del negozio. Anzi, lo era. I nuovi lavori di pavimentazione di Via Alfieri l’hanno sacrificata: una bella pietra lavica etnea in cambio della bouganville. De gustibus dell’allora amministrazione comunale di Lampedusa da cui Linosa dipende.
U GURGIUNI – “È stato mio padre, detto U Gurgiuni, papà era abile pescatore, ad aprire il negozio subito dopo la guerra” mi racconta Renato nella sua figura magra asciugata dalle estati delle Pelagie. “A Linosa la vita non era facile. L’elettricità mancava. La televisione ancora non trasmetteva. L’acqua arrivava con la nave cisterna. Le motonavi non attraccavano al molo. Restavano al largo. Merce e passeggeri scendevano sulla barcazza e a remi raggiungevano lo scalo”. La SIP ha installato nel 1963 la prima centrale telefonica e dalla fine degli anni Sessanta la centrale produce corrente: poche ora al giorno agli inizi, poi con regolarità. È solo dal 1976 che abbiamo il ripetitore della RAI su monte Bandiera. Mediaset arriva anni dopo. Dalla seconda metà degli anni Ottanta il dissalatore ha reso la vita più facile per tutti, bestiame e capperi compresi. E dal 1985 il traghetto può attraccare sull’isola dopo la costruzione di una banchina adeguata, tempo permettendo.
INTRAPRENDENZA E COSTANZA – “In queste condizioni non era facile gestire un negozio di alimentari. La buonanima di mio padre era però curioso e intraprendente. Non si arrendeva difronte a nulla” precisa Renato. Tutti ricordano la macchina per il gelato e il generatore di corrente a gasolio. “Il negozio è sempre stato vicino alla chiesa di San Gerlando e la domenica il parroco chiedeva a mio padre di spegnere il generatore per il troppo rumore. Disturbava la celebrazione della messa, predica e consacrazione soprattutto. I frigoriferi erano a gas. Ne abbiamo ancora uno giù al deposito. Nella scovia, sotto Monte Bandiera, si conservava il ghiaccio, che veniva da fuori. Resisteva poco il ghiaccio, dieci giorni al massimo”.
UN NEGOZIO PER TURISTI E PER RESIDENTI – “I primi turisti sono degli anni Cinquanta. Erano i ‘bombolari’. Venivano per esplorare la bellezza dei fondali ed era un turismo d’élite a causa dei costi. Poi, dagli anni Sessanta, ci sono stati molti campeggiatori liberi sia in località Mannarazza sia a Pozzolana di Levante. Sai, i figli dei fiori, una tenda e un sacco a pelo. A Mannarazza già c’era l’acqua grazie a ‘u gibbiune’, la grande cisterna di raccolta voluta dal Governo di Mussolini. Però anche alla Pozzolana di Levante si poteva fare la doccia. Si portava la spesa ai turisti con l’apa dopo la chiusura del negozio. Io accompagnavo mio padre. Nei primi anni Settanta c’erano anche sedici boss mafiosi al soggiorno obbligato nell’isola. Avevano libertà di movimento di giorno. Da Linosa non si può fuggire. Il mare la protegge. Pagavano l’affitto ed esibivano una grande disponibilità di denaro esaurendo le scorte di sigarette e prodotti alcolici nelle poche rivendite.
UN CONSORZIO E UN BAZAR RIFORNITO – “Mio suocero teneva di tutto in negozio” aggiunge Elvira. “La putia funzionava anche da consorzio: gli animali dovevano pur mangiare. Poi, al primo piano, dove ora c’è la nostra abitazione, si trovava un vero e proprio bazar. Io ricordo i vestiti, di marca e alla moda, che mio suocero faceva arrivare anche qui sull’isola. Sai, abbiamo avuto turisti illustri. Lina Wertmuller, Gina Lollobrigida, Elsa Martinelli, un famoso direttore d’orchestra, chi con la propria casa chi di passaggio. Crialese ha girato un film con Beppe Fiorello. Poi la Cucinotta è stata con noi in inverno per Forse è solo mal di mare”.
CONDUZIONE FAMILIARE – “Linosa ha circa trecento abitanti in inverno. I minimarket sono due. La clientela è affezionata a noi e a Clorinda, si divide equamente” mi racconta Renato. “I numeri sono quelli che sono e dobbiamo fare di necessità virtù. Si sopravvive perché la conduzione è familiare. Viviamo sopra al negozio. San Gerlando è proprio a fianco. Casa chiesa e putia”. Il sorriso di Renato è di rassegnata accettazione. “Così la nostra porta è sempre aperta. Possono bussare a ogni ora e noi apriamo” sottolinea Elvira. È che il negozio è più di una bottega. Diventa un centro di aggregazione sociale specialmente d’inverno quando le giornate sono lunghe. Fa buio presto, le strade sono deserte. I giovani sono fuori per studio o lavoro. Può fare freddo, le case non sono attrezzate, l’umidità attraversa i muri ed entra nelle ossa. Non essendoci un centro di ritrovo o un cinema, i due bar aperti si alternano e i due ristoranti fanno la pizza ma solo nei week end, il negozio diventa un punto in cui trovarsi e parlare. Elvira e Maria sono amiche, sorelle, confidenti. “Diventiamo in qualche modo dei punti di riferimento. E non possiamo mai fare ferie”.
IL DENTISTA E’ FONDAMENTALE PER NOI – “Ci allontaniamo dall’isola solo per motivi sanitari: i controlli medici in Sicilia per noi ma soprattutto per i bambini sono fondamentali. Il dentista lo è in modo particolare. Non essendoci fonti sull’isola abbiamo bevuto per anni acqua piovana che non contiene sali minerali e abbiamo storicamente problemi ai denti per carenza di calcio.”. Ma a Linosa abbiamo un piccolo presidio medico e una farmacia. Nulla di più. Nessuno specialista. E quando la farmacia ha chiuso per alcune settimane a fine 2024 i farmaci dovevano essere spediti da Lampedusa. E se il mare era a forza 5 arrivavano con la motovedetta della Guardia Costiera.
AGRIGENTO PIU’ CHE PALERMO – “Andiamo ad Agrigento” mi dice Elvira. “I Lampedusani invece si spostano più a Palermo perché hanno l’aeroporto e l’ATR per la Sicilia anche in inverno. Poi, da quest’anno, se chiudessimo una settimana per una vacanza lasceremmo il paese senza forniture di carne. Quindi non possiamo lasciare l’isola” precisa Elvira. “Per i prodotti non deperibili abbiamo scorte ampie che compensano i ritardi della nave. Frutta e verdura sono più a rischio e dipendono dai collegamenti marittimi. Noi non ne teniamo perché è impossibile gestirne l’approvvigionamento con regolarità e garantirne una buona qualità. Ci sono gli orti. Bene o male tutti hanno la campagna anche se non siamo autosufficienti. Poi Calogero viene con il camion della verdura fresca da Lampedusa e si ferma sull’isola un paio di giorni, mare permettendo. Gerlando abita già sull’isola e di verdura ne ha anche lui”.
IL LINOSANO E’ UNA PATELLA ATTACCATA ALLO SCOGLIO – È curioso che Renato parli di allontanamento. Non cita mai lasciare l’isola come se il verbo lasciare sia definitivo e implichi un taglio netto con la terra madre. “A casa io sto bene. A Linosa sto bene. È quando dobbiamo prendere la nave che noi isolani siamo un po’ in sofferenza. Stiamo male d’umore anche se ci allontaniamo da casa per sbrigare situazioni che impongono di andare”. Fa una pausa e guarda il cielo che oggi è terso. “Il viaggio è lungo, sei sette ore di nave. Non sai mai se la nave arriva o non arriva. Se attracca o non attracca. Durante la traversata mi è capitato un incendio a bordo e avevo con me la figlia più piccola. Immagina lo spavento. Allontanarsi dall’isola diventa quindi un peso per tutti. E una volta che sei là in continente, una volta che hai sbrigato tutto, non vedi l’ora di tornare a casa. L’isola ti chiama” mi dice con tono rivelatore Renato. “Ogni Linosano è come una patella attaccata allo scoglio” mi ricordò un giorno un linosano mentre ci bagnavamo nel Mediterraneo al molo di Mannarazza.
LA CARNE ARRIVA VIA MARE DALLA SICILIA – “Da quando Zio Paolo ha chiuso la macelleria a Natale dello scorso anno ci occupiamo anche della carne. I salumi e qualche formaggio li abbiamo sempre avuti. La carne no perché la gestiva lo zio”. Ora arriva via nave dalla Sicilia una volta la settimana, di mercoledì, confezionata in atmosfera protetta. “Il camion refrigerato che la trasporta continua la sua corsa per Lampedusa e non sbarca a Linosa”, precisa Renato. “La permanenza della nave allo scalo è troppo breve per lo sbarco. Il camion non farebbe in tempo a salire in paese e riprendere la Siremar per Lampedusa. Quindi scendiamo noi alla Pozzolana e ‘sbarchiamo’ la carne direttamente sulla nave. Poi si corre in negozio”.
CHI VE LA FORNISCE? – Ce la fornisce un grande produttore nazionale. Ho parlato con loro. Ho spiegato che non ho spazio per allestire una vera macelleria. Sono stati gentili. Mi hanno detto che avevano delle ‘RT’ in confezione opportuna. Che la carne confezionata così dura 8-10 gg. E così le ‘RT’ ci salvano con la carne. La maggior parte della carne viene ordinata dai nostri clienti. Riduco così i resi. Poi tengo una piccola scorta libera. Specialmente d’inverno la gente è previdente. Si fa delle scorte qui in negozio e poi congela la carne a casa.
COSA CHIEDERESTI PER MIGLIORARE LA TUA ATTIVITA’? – “Chiederei di lavorare solo sei mesi l’anno, una stagione corta. Per un’isola piccola come Linosa non posso assumere dei dipendenti e avere un negozio significa per i proprietari lavorare dodici mesi l’anno sempre in presenza. Non possiamo mai assentarci. Addio ferie. Aspetto che crescano i figli nella speranza che possano sostituirmi cosi da potermi allontanare per qualche giorno di vacanza”.
QUINDI CONTATE SUI FIGLI? – “I genitori ci contano sempre. Poi i figli sono liberi di decidere. Per ora sono presenti. Lorenzo, il grande, dà una mano in negozio. Poi aiuta lo zio al bar di Scalo Vecchio. Gli altri sono ancora piccoli, studiano. Sono ben avviati” mi dice Renato con una luce negli occhi che solo un padre può avere. “I figli però sono giovani, hanno un’altra mentalità” mi confessa Elvira. “Lorenzo mi dice sempre: mamma a fine stagione io vado a Malta, come se Malta fosse il centro del mondo”. “Tutti i giovani sono così. Hanno bisogno di andare” aggiunge Renato. “Ma quasi tutti tornano. Il richiamo dell’isola è forte se sei nato qui. Da giovane vuoi scoprire il mondo. Poi, una volta cresciuto, ti accorgi che il mondo è già tutto qui: casa, chiesa e putia, che vuoi di più?”.