Passalacqua e la cucina di Viviana Varese
-di Gianluca Donadini

Viviana Varese 51 anni da Maiori in Provincia di Salerno. Autodidatta con un robusto training on the job grazie ai passaggi al Mediterraneo di Piacenza, all’Albereta di Erbusco con Gualtiero Marchesi, da El Celler de Can Roca a Girona, al Relae di Christian Puglisi, all’ Aponente di Angel Leon a Cadice, all’Enigma di Albert Adrià a Barcellona. Non disdegna la pasticceria ed eccola al fianco di Maurizio Santin a Roma e Leonardo Di Carlo a Cast Alimenti a Brescia per corsi di formazione master. Forma la propria biblioteca del gusto in Campania, nella Costiera Amalfitana dove nasce, così legata al mare ma stretta in un abbraccio salvifico alla terra che qui è montagna. Attinge dalla madre Carla un repertorio di gesti domestici che segnano il movimento di fondo della propria cucina. La sua è una famiglia devota alla ristorazione. Domestica, quella della madre; imprenditoriale, quella del nonno, proprietario dello storico Caffè Varese a Salerno, con la famosissima entrata d’angolo, e del padre, oste a Maiori, poi emigrato nella bassa provincia lombarda con la famiglia, gestore di un ristorante di cucina popolare campana in Provincia di Lodi. Così Viviana cresce con le mani in pasta fin da piccola senza la paura di toccare il cibo per trasformarlo, devota agli impasti delle pizze e al fuoco, alla brace e alle sue cotture che danno vita e calore. Nel 1995 apre il suo primo ristorante a Lodi, il Girasole. Nel 2007 si sposta a Milano e fonda con Sandra Ciciriello il ristorante Alice, definito dalla stampa ‘il pesce delle meraviglie’. Un percorso in cui Viviana si dà una misura in cucina per gestire le preziose materie prime di Sandra portandola in pochi anni ad ottenere il riconoscimento di giovane emergente dell’anno per Gambero Rosso, di migliore chef donna per Identità Golose e al raggiungimento della stella Michelin nel 2011. Dal locale di Via Adige, Alice trasloca nella prestigiosa sede di Eataly Smeraldo nel 2014 e diventa ViVa con l’uscita di Sandra nel 2019. ViVa è colore, entusiasmo, audacia, luogo di diversità e contaminazione, di creatività purissima. E creativa è Viviana. Basti pensare a Pis&Love (zuppa di fagioli e pasta, polpo e cozze), a Senza via di scampo (dove gli scampi marinati non sfuggono tra yuzu, brodo di mele e tapioca), o a Maritati: il pane che sposò la minestra (omaggio alla minestra maritata campana) e al circo di cartone che accompagna il servizio della piccola pasticceria, un’installazione di pop up dove Varese brandisce mestolo e mannaia e Sandra fa l’equilibrista sul filo. Quelli di ViVa sono pochi mesi gloriosi di sperimentazione prima del Covid che segna il settore della ristorazione con una chiusura forzata e con l’esigenza di diversificare le attività alla riapertura. Sono questi progetti che vedono Viviana in prima linea non solo come chef ma anche come imprenditrice a partire da “Io sono Viva” dolci e gelati, una gelateria pasticceria che offre lavoro a donne vittime di violenza domestica all’interno del Mercato comunale Isola di Milano e che replica con un secondo outlet in via Kramer. Due sono le aperture in Sicilia: Il W Villadorata Country Restaurant dal 2021 in un boutique hotel della Val di Noto nella campagna siciliana più vera, ricca di ulivi, mandorli, agrumi e qualche piede d’uva dove la natura conta e la sostenibilità è un dovere. Ritroviamo Viviana con Matteo Carnaghi ai fornelli e la pastry chef Ida Brenna a Palazzo Nicolaci di Noto per ViVa bistrot dalla cucina mediterranea, attenta ai presidi Slow Food dove il vino conta. Il 2024 è un anno di svolta. Chiude ViVa ad Aprile e apre due outlet più democratici e accessibili in linea con i tempi. Faak cibo e vino a ribellione naturale è una all day experience del cibo che spazia dalla colazione, al pranzo, alla cena e che fa di un amplissimo laboratorio un punto di produzione per le attività di pasticceria, panificazione e banchettistica della chef. I prezzi sono popolari, ma non troppo per un outlet informale e disobbediente in cui si afferma la ribellione al conformismo e si dà voce al valore del territorio e dell’ingrediente che rimane sacro e inviolabile nella cucina politica di Viviana Varese. E si scopre il valore della pizza e della griglia, e del pane così legati alla forza ancestrale del fuoco che dà un’aura sacra alla cottura, ai vini naturali, all’aperitivo e che trasformano Faak in un progetto sociale di aggregazione per un quartiere, quello di Farini dove gli snodi sociali di riferimento sono assenti. E registra il 2024 il successo di Polpo semplicemente pesce, aperto a settembre 2023 sulle ceneri di Spica, un giro-del-mondo gastronomico tra suggestioni orientali e tributi di design gestito con Ritu Dalmia, amica e imprenditrice indiana. Polpo è un’idea di mare urbano che dà forma a un locale dinamico ispirato alle trattorie degli anni Ottanta dove ritorna l’amore per il mare, il pesce di qualità e l’attenzione alle cotture che segnano la cifra dei menu. Ma è il passaggio a Passalacqua, miglior Hotel al Mondo 2023 secondo The World’s 50 Best Hotels in un’oasi di pace e benessere sulle rive del Lago di Como dove il lusso è gentile, il segno forse più disobbediente della chef salernitana. Incontriamo Viviana Varese a primavera inoltrata sulle rive del Lario curiosi di scoprire come Viviana si coniughi al lusso gentile di Passalacqua e a quello di una alta cucina di Casa che deve stupire per ricchezza e opulenza. Ora come ai tempi gloriosi dei conti Lucini Passalacqua.
Un’accoglienza raffinata sospesa nel tempo
Valentina De Santis, proprietaria e CEO di Passalacqua, hotel 5 stelle lusso a Moltrasio sulle rive del lago di Como designato come miglior struttura d’accoglienza al mondo dalla prima classifica stilata da The World’s 50 Best Hotel, ci spiega come l’accoglienza faccia parte del DNA di ogni Italiano e diventi cifra distintiva del nostro Paese. Un’accoglienza che si coniuga per l’Italia su livelli altissimi di design e architettura, ottimo cibo, benessere, legami col territorio, autenticità, sense of place e un’impeccabile custom experience. “La nostra è una realtà piccola e del tutto familiare”, ci spiega Valentina. “Da più di 50 anni ci occupiamo di hotellerie sulle rive del Lago di Como. Siamo proprietari del Grand Hotel Tremezzo, un luogo sospeso nel tempo, in cui storia, fascino e tradizione incontrano lo spirito del contemporaneo. Un luogo in cui le possibilità diventano infinite. Come i ricordi’’. Grandi ville e borghi secolari, le scie bianche dei motoscafi sull’acqua e il profilo delle Prealpi al tramonto: il Lago di Como è meta molto apprezzata che ha tessuto una storia d’amore infinita con politici, scrittori, musicisti, industriali, l’aristocrazia europea e il cinema, attori hollywoodiani in primis. “E’ in questo scenario che abbiamo acquistato nel 2018 Villa Lucini Passalacqua di proprietà di un banchiere americano e dal 2022 abbiamo aperto la struttura al pubblico. La nostra forma di accoglienza è familiare e continua la tradizione tutta italiana di famiglie di hotelier al timone di strutture di accoglienza, un impegno le cui radici risalgono ai tempi del Grand Tour e all’ospitalità di alto livello atta a soddisfare le esigenze di viaggiatori dell’aristocrazia o della ricca borghesia”. L’accoglienza è un mestiere basato sulle relazioni e nulla più della famiglia è un laboratorio di sperimentazioni relazionali complesse in cui si accoglie, si ascolta, si assorbe, si elabora, si orienta, si risolve e si serve. Cosi, arrivare al Passalacqua è entrare nella casa nobiliare di un amico di famiglia che ospita con i tempi e i modi raffinati di una villeggiatura che rispetti i tempi del lago. “Questa è la nostra misura: un’accoglienza meno gridata, più focalizzata sulla persona, sull’umanità del rapporto con il cliente, sulla personalizzazione del servizio che soddisfi le più piccole esigenze come fossero coccole a un amico caro cui si tiene. Manteniamo una nostra indipendenza, che è poi la nostra forma di disobbedienza, da un sistema stereotipato di accoglienza di lusso” ci tiene a sottolineare Valentina. Discrezione, tangibilità dell’esperienza, la capacità di offrire la bellezza delle piccole cose che riempiono di significato la quotidianità fatta di particolari mai gridati perché hanno forza nella loro stessa essenza. In fondo l’Italia è un paese che sa essere gentile, accogliente e solidale secondi i gesti quotidiani di una madre educata e colta che accudisce ed alleva. Sono questi i particolari di un lusso gentile che, incidono nella pietra i tratti di una maternità molto umana e generosa distintiva dell’Italia. Gli stessi gesti li ritroviamo a Passalacqua che, come una madre premurosa, accudisce i propri ospiti stringendoli in un abbraccio sincero perché ai propri figli non si può mentire. Il servizio certo conta e deve essere impeccabile così come la cucina che deve essere quella di una grande casa nobiliare. E con Viviana Varese rivive una certa opulenza, degna delle case nobiliari francesi ed inglesi del passato. “Cuore, famiglia, un certo gusto, una natura domestica cui fare ritorno nel frutteto, tra le verdure dell’orto, i roseti e le magnolie secolari, una partita a bocce o uno scambio a tennis in una atmosfera senza tempo sospesa come se il lago fosse quello di Bellini che qui scrisse la Norma e la Sonnambula sono per noi le note più vere e charmant della nostra dimensione disobbediente del lusso.
Scendendo a Moltrasio
Arrivando a Passalacqua ci si annuncia al cancello di una villa nobiliare. L’incipit già istruisce l’ospite che si arriva a casa De Santis più che in un Albergo con il personale che, a seconda dei ruoli e delle responsabilità, si prende cura dell’ospite con la giusta etichetta che non è mai di maniera ma richiede garbo, calore, cordialità e una dose di empatia. Ci si avvicina così all’ospite con un senso dell’accoglienza che fa proprio il piacere della Proprietà di invitare a casa, più che seguire le logiche di una procedura di registrazione. Tant’è che non esiste per scelta un desk per il check-in e si è ricevuti direttamente in uno dei salotti della Villa. Per questo un sorriso e un saluto cordiale sono fondamentali per creare da subito un’atmosfera rilassata e accogliente. E i bouquet di benvenuto di Daniela, flower designer, sono la giusta cortesia, il buon auspicio di un soggiorno in una nuova casa. La Villa si impone senza essere monumentale, quasi claustrale nell’essenzialità della forma. Si dà, e bene, una volta nell’ampio parco, arioso, con i terrazzamenti che godono di un Lago che si apre con misura sui prodromi di Como all’orizzonte e dialoga con Blevio e Torno e la sponda più aspra, ma non per questo meno nobile, del Lario. Dalla Statale Regina, direttrice nerboruta per l’Alto Lario, si svolta nella discesa di via Besana tra le fitte case, quasi la strada non esistesse tanto è costretta aprendosi solo dove la parrocchiale fa sagrato. E non si può che procedere così finché non si percorre un passaggio acciottolato facile da mancare nella discesa al lago perché sfugge tra i cipressi e la chiesa di Sant’Agata che all’improvviso appare del tutto inattesa con una austerità longobarda. Poi ci si annuncia al cancello, imponente, e Villa Passalacqua ancora non è del tutto visibile. Moltrasio è così. Un borgo del lago di Como che deve farsi spazio tra la riva lacustre e le montagne, che svela e rivela con parsimonia e solo all’osservatore più attento. Né più né meno che sulla Costiera Amalfitana, dove gli abitati sono altrettanto verticali, le gole profonde nella montagna, i corsi d’acqua padroni dei passaggi migliori. E qui spettano al Pizzallo e all’Arbusel e ai loro sistemi di caduta d’acqua che alimentavano antichi mulini. E allora Moltrasio si costruisce intrecciandosi alla sponda del Lario per ancorarsi alla montagna lavorando di cesello per trovare spazio e accomodarsi dove natura concede. E lo fa tutt’altro che rassegnato, con ordine e geometria perché gli uomini del Lario, al pari dei migliori urbanisti, hanno giocato al miniaturista per gestire gli unici spazi abitabili in una combinazione di conoscenze tecniche, sensibilità artistica e pazienza nel rispetto di un microcosmo fatto di lago, larici e pietra nera che segnano la cifra di una comunità che sa bene cosa vuol dire vivere di necessità. La bellezza a Moltrasio ha lo stesso costo che grava sul bonsaista che apprezza la misura della proporzione che si fa escamotage per creare un contesto armonioso e naturalmente bilanciato. Perché un borgo che vive in simbiosi con la montagna ha bisogno di una profonda comprensione del territorio. Pena la sopravvivenza.
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L’accoglienza di casa De Santis tra ville e grand hotel
‘Abbiamo solo 24 camere e una vastità di spazi esterni che abbracciano il lago’ ci spiega Micaela Borghi, Sales & Marketing Executive di Passalacqua. Il parco ha un’estensione di tre ettari e conta 15 fontane d’acqua. È stato restaurato da Emilio Trabella noto paesaggista e botanico. Passalacqua, la villa, ha 12 camere. Sono delle top suite con muri damascati dipinti a mano, tra cui spicca la suite Bellini, 250 mq utilizzati dal compositore siciliano per la scrittura della Norma e della Sonnambula. Alle spalle abbiamo il Palazz ricavato nelle scuderie con le ultime otto camere e la Spa orientaleggiante. Casa al lago ha quattro suite con giardino privato. Le famiglie e i gruppi più numerosi alloggiano li. Il plus valore della Casa è la cucina che permette di preparare colazione espresse e di servirle direttamente nella struttura grazie a uno chef privato e a un concierge per i servizi logistici e personali. 50 sono gli ospiti quando siamo full booked. Il giardino come vedi è terrazzato e scende fino alla riva del Lago. Ogni terrazza è dedicata ad un’attività: la villeggiatura, il dolce far niente, l’otium, il bar nella bella stagione. La piscina è definita da una bellissima serra trasformata in un accogliente giardino d’inverno. Il roseto profuma l’aria nella tarda primavera mentre le ortensie giocano con le tonalità delle acque anche al tramonto perché sanno di lago e di stelle infuocate. Un uliveto circonda la palestra che ha spazi di lavoro indoor e outdoor e un campo da tennis in terra battuta che domina il lago. Abbiamo un campo da bocce che esprime una socialità tutta italiana con cui gestire il tempo libero per un gioco che si fa rito popolare che cementa e dà senso di appartenenza anche all’uomo di lago, libero e riunito nel dopolavoro. Non possiamo dimenticare il nostro frutteto, l’orto e il pollaio dove raccogliamo le uova. E il circolo delle magnolie centenarie dove fare yoga. I kart portano gli ospiti ovunque fino alla spiaggia che devo confessare è uno delle location più instagrammate di Passalacqua. Ancora più glamour l’uso della Cinquecento Spiaggina dal look vintage con gli interni in vimini, icona della dolce vita. Abbiamo un molo privato con i nostri motoscafi d’epoca, Didi, Giumello e Aquariva. Se ci fai caso la strada comunale delimita il parco di Passalacqua verso il lago il cui accesso è facilitato da un tunnel costruito nel 1800 che permetteva ai proprietari di scendere al lago senza bagnarsi e probabilmente a qualche amante di entrare di nascosto non visto.
GL:- Qui a Moltrasio avete una nobiltà di racconto diverso da Tremezzo.
PSQ: – Passalacqua è un hotel di charme, intimo e dotato di ogni comfort, che nasce, e infondo rimane, una residenza privata. Non si alloggia qui per essere visti, vivere la mondanità o sentirsi a la page. Si viene a Passalacqua per un bisogno interiore. Il Grand Hotel utilizza il modello resort per la sua natura ‘all-in-one’ e tocca altre corde. Cambiano le dimensioni. Le camere sono 80. Vuole porsi e porre il Lago di Como al centro del mondo sviluppando un modello contemporaneo di accoglienza tutto italiano che parla al turista internazionale. È uno spazio pubblico che accoglie ospiti residenti e esterni che accedono all’infinity pool, alla Spa, ai cinque ristoranti, tra cui la famosa Terrazza Gualtiero Marchesi che mantiene viva l’eredità del Maestro grazie a una carta composta esclusivamente di piatti signature dello chef milanese.
GL:- Passalacqua è esattamente l’opposto…
PSQ:- … un hotel con pochi ospiti, ai quali però è in grado di offrire ampi spazi e moltissimi servizi contrariamente ai boutique hotels.
GL:- Sia il Grand Hotel che Passalacqua ripercorrono la tradizione di famiglie imprenditoriali di hotellier capaci di mantenere e tramandare nel tempo la tradizione italiana dell’ospitalità, il servizio e l’attenzione al cliente grazie a una passione instancabile e alla ricerca del bello. Questa è una garanzia per la continuità della cifra stilistica delle strutture di accoglienza dei De Santis, a Moltrasio come a Tremezzo. Tremezzo ospita però un Grand Hotel e ha sempre fatto una accoglienza molto più glamour e attenta al bisogno di mondanità degli ospiti del jet set che non sono mai mancati attratti da un edificio architettonicamente fastoso e di gran lusso che toglie il fiato. Al Grand Hotel c’è moda e mondanità e molta visibilità. Non per nulla la mitica Greta Garbo amava trascorrere le vacanze a Tremezzo.
PSQ:- Certamente. A Passalacqua c’è ancora memoria dei Conti Lucini Passalacqua, della famiglia aristocratica proprietaria della Villa che accoglieva nobiltà e personaggi famosi della politica e delle arti nel quotidiano della propria vita al riparo da occhi indiscreti. E ora Passalacqua vuole essere la casa dei De Santis che ricevono i propri ospiti in un’atmosfera molto intima per alcuni giorni di villeggiatura nella propria villa al lago riportando in auge i servizi dell’ospitalità di lusso che si faceva un tempo. A volte ci troviamo ancora a pensare come si sarebbe comportato il Conte e ci sentiamo tranquilli solo avendo la sicurezza che lui stesso avrebbe approvato le nostre scelte.
GL:- Il concetto di famiglia emerge molto forte e si avverte concretamente la presenza di una Proprietà che apre la porta di casa, seppure di una casa nobile. C’è presenza.
PSQ:- Valentina, Ceo di Passalacqua, è il volto più esposto della famiglia De Santis in questo momento. Penso sia a Tremezzo questa mattina per la conclusione dell’evento di Cook Corriere della Sera sulle donne del Food. Ogni giorno si divide tra Passalacqua e Tremezzo: le piace fare colazione al Grand Hotel per poi passare qui a Moltrasio e avere un contatto diretto con gli ospiti, vivere le strutture come fossero una casa. Oltre ad avere un ruolo importante nel marketing e nella comunicazione, cura con sua madre Antonella il design delle strutture. Quindi davvero Passalacqua e il Grand Hotel, per quello che può un hotel di 80 camere, assumono la dimensione di una casa nobiliare. Perché la proprietà non delega ma gestisce dando la cifra che ogni padrona di casa darebbe alla propria dimora.
GL:- I De Santis arredano le strutture proprio come noi tutti faremmo a casa nostra.
PSQ:- Tutto è autentico, vero, e so che i nostri ospiti percepiscono la verità di questa casa. Proprio qui sta la differenza tra un hotel di famiglia e uno appartenente a una grande catena alberghiera.
PSQ:- un’esperienza personalizzata più a Passalacqua che al Grand Hotel, come è ovvio che sia, e che si può permettere di essere le regole e gli orari stringenti degli alberghi. senza
PSQ:- Bellini ha composto la Norma e la Sonnambula qui a Passalacqua. Non avrebbe potuto se gli fossero stati imposti degli orari per la composizione. Ma anche Churchill, Napoleone, Carlo Porta, il poeta, o Eugenio Torelli Viollier, fondatore del Corriere della Sera, sono state presenze libere il cui soggiorno ha fatto, e tutt’oggi fa, la differenza per la cifra di stile di Passalacqua, rispetto al Grand Hotel di Tremezzo o a altre strutture di lusso dell’accoglienza. Qui abbiamo più storia.
GL:- La villa era abitata quindi arredata.
PSQ:- Si. Villa Passalacqua è stata costruita su un terreno originariamente di proprietà di Papa Innocenzo XI. La villa venne venduta nel 1787 al Conte Andrea Lucini Passalacqua che con l’architetto svizzero Felice Soave e il designer Giocondo Albertolli realizzò Il sogno di dare vita a una delle più grandi dimore del lago di Como. La villa presenta degli elementi architettonici di pregio. La scala elicoidale all’ingresso del Palazz con il suo lampadario in seta e vetro firmato da Fortune è unica. Nella sala delle dame c’è un lampadario realizzato da Bronzetto su disegno della stessa famiglia De Santis. Nella prima fase del progetto i proprietari si affidano agli architetti dello studio Bamo di San Francisco per la pianificazione del restauro e dell’architettura degli interni che danno una solida impronta agli spazi abitabili della Villa. Della parte strutturale si è occupato lo studio Venelli & Kramer; Silvia Perego delle luci. I lampadari, i candelabri e le applique in ottone, vetro e seta a seconda dei casi sono di Il Bronzetto di Firenze, di Barovier & Toso di Murano e Fortuny di Venezia. Maestoso è quello in vetro di Murano della sala della musica in Suite Bellini, alto sei metri con 59 lampadine. Gli specchi decorati a mano e i trumeau intarsiati sono di Barbini così come i bauli in tessuto e pelle sono di Bottega Conticelli di Orvieto.
GL:- Ai grandi nomi del design si affiancano piccole botteghe.
PSQ:- Conticelli come dicevo che ha realizzato gli accessori in pelle delle camere da letto; Dedar, Fortuny e Rubelli con il motivo voile de Como che è diventato un patter decorativo iconico per i tessuti e per tutte le amenities; le lenzuola in fibra di legno di betulla sono di Beltrami. Le sale da bagno hanno più di venti marmi diversi tra cui quelli provenienti dalle cave di Verona e di Carrara e la Breccia Pontificia. Per i restyling della zona piscina si è usato Il serpentino, pietra locale di colore grigio verde che richiama i toni del Lago. I tessuti funky dei lettini e degli ombrelloni sono di JJ Martin fondatrice del Brand la Double J che ha ripensato sia la piscina sia il giardino d’inverno. I pattern con i lucci ispirati allo stemma Passalacqua si mescolano alle storiche stampe Flower di Mantero che colorano gli ombrelloni di un’aura vintage.
GL:- Una ricerca appassionata che valorizza l’artigianalità più fine.
PSQ:- Un hotel di lusso stimola l’indotto favorendo attività commerciali e di servizi del territorio. Con Passalacqua il focus è sulle eccellenze di Como, ma il raggio è più ampio interessando l’eccellenza manifatturiera italiana. Il restauro, durato tre anni, racconta una storia affascinante di artigianalità italiana e attenzione ai dettagli. E ci vuole indubbiamente passione. Valentina e i suoi genitori hanno un amore molto profondo per la villa. Conosci Parma e il suo mercato dell’antiquariato? Ecco i De Santis sono spesso lì a cercare pezzi d’arredo per Passalacqua. Partecipano a aste. Viaggiano e scoprono. E ci vuole una cifra stilistica sorretta da un senso estetico non indifferente e un gusto per il design, perché la passione da sola non basta. Una cifra espressiva del tutto personale che i De Santis fortunatamente hanno ben chiara e riconoscibile.
GL:- E un lavoro continuo della Proprietà…
PSQ:- … che ti accompagna per tutta la vita perché Passalacqua è casa e ogni casa cresce ogni giorno con chi la abita. È un percorso condiviso con i designer per definire ogni particolare della Villa. Si tratta di un lavoro a più mani in cui si lavora ad un progetto volto a tradurre le linee di gusto e di espressione comunicate dalla Proprietà. Poi ai designer spettano le soluzioni realizzative di questa cifra stilistica da applicare alla villa e ai giardini. La villa stessa ha influenzato lo schema progettuale.
GL:- Un’apertura che risente del lago e delle sue sponde e della malinconia che prende con forme affini allo spleen romantico in inverno. In fondo il lago crea qualche disagio negli inverni lombardi se non si è nati dalle sue acque.
PSQ: Passalacqua vorrebbe diventare una destinazione annuale estendendo l’apertura ad almeno dieci mesi l’anno. Il Grand Hotel chiude da novembre a marzo. La vita a metà lago acquista un passo tutto invernale difficile da comprendere per gli ospiti. Ma una fermata così lunga è fisiologicamente necessaria per una struttura complessa che richiede una messa a punto regolare. Per volere della Proprietà l’Hotel necessità di piccoli infiniti ritocchi che rendono evidente la cura per l’ospite che a Tremezzo ha una sua fidelizzazione. Quest’anno ci sono stati degli interventi nella sala della musica e nella piscina della Spa. L’ospite coglie questa attenzione. A Passalacqua abbiamo aperto la piscina interna. Questo è un intervento importante ovviamente.
GL: Non avete mai pensato a un’apertura a Natale? Forse è complicato chiudere per riaprire. A questo punto meglio tenere aperto direttamente.
PSQ: Passalacqua è vicina a Como e si raggiunge facilmente Milano. Gestiamo bene le attività invernali. il Museo della Seta è meta di indiscussa eccellenza dove è possibile organizzare tour privati seguiti da shopping nei migliori negozi locali. L’inverno porta con sé anche l’apertura della stagione lirica al Teatro Sociale, il Teatro dell’Opera di Como, occasione perfetta per scoprire il dietro le quinte di una prima e incontrare gli artisti. L’opera affascina gli Americani. Ma due mesi di chiusura sono fisiologici anche per Passalacqua.
GL: con gli Hartono e il sistema Como Calcio in cui credono si sta creando un ulteriore booster per l’accoglienza del Lago di Como.
PSQ:- Certamente. Como Città e il Lago di Como stanno diventando una miniera d’oro. Il Lago di Como è più di un lago con bellissimi panorami. È un brand a tutti gli effetti e il marchio collettivo “Lago di Como – Un mondo unico al mondo” è uno strumento di marketing territoriale importantissimo per promuovere tutte le filiere del territorio lariano in cui fortunatamente la Camera di Commercio di Como-Lecco e la Provincia di Como hanno creduto fortemente.
GL:- La sua forza è unire diverse eccellenze.
PSQ:- Turistiche, paesaggistiche, culturali, manifatturiere. Perché il Lago di Como è marchio globale che fa sistema.
GL:- Una bella opportunità…
PSQ:- … di crescita e di sviluppo, anche se alcuni temono la perdita dell’autenticità e del carattere unico della città.
GL:- E se come a Napoli si vende l’aria del lago in accattivanti lattine blu con l’elegante motoscafo Riva…
PSQ:- …Como e il suo lago sono ormai oggetti del desiderio di una comunità di turisti molto ampia e internazionale che ha una forza d’urto capace di spazzare via i detrattori dell’overtourism.
Quale tipo di ospitalità
GL:- Il benessere del soggiorno si coniuga seguendo i paradigmi delle ville nobiliare qui a Moltrasio e del concept Grand Hotel a Tremezzo.
PSQ:- Il Grand Hotel gode di una magnifica struttura Liberty di una certa imponenza. Ha cinque ristoranti, una Spa più estesa, tre piscine di cui una a sfioro nel lago. Se il Grand Hotel è una destinazione molto fashion, Passalacqua è più sobria nel suo mostrarsi e raccontarsi all’ospite. E’ un rifugio dove nascondersi, sentirsi protetti lontano da occhi indiscreti. E’ un’isola di pace in cui essere quello che si è senza essere visti o giudicati. Sappiamo già tutto. Non c’è bisogno di dirsi niente. Riservatezza. Al Grand Hotel si va per essere visti e raccontarsi. Ti si dà a braccia aperte, si mostra e ti mette in mostra. Passalacqua è riservata eleganza e esclusività che si coniuga come privacy, benessere e comfort. Il fine è però comune: lo star bene, la sensazione di piacere, relax e soddisfazione che l’ospite prova grazie ai nostri servizi, di cui il benessere è la strategia per ritrovare armonia e senso di appartenenza.
GL:- Certo… e se immagino l’epoca d’oro dei Grand Hotel, tra la fine del 1800 e i primi trent’anni del 1900 pensiamo a luoghi di incontro tra mondanità e cultura, confidenze e aneddoti, pettegolezzi. Si viveva un lusso sfrenato, la vita sociale era intensa, l’atmosfera glamour e internazionale, la ristorazione di alto livello. Una destinazione dove si va a vedere e a farsi vedere, sfoggiare toilettes, comprare nei negozi in una gara di importanza tra auto, servitù al seguito, gite, salotti, tennis, bridge e partite di tennis in un coacervo di cuochi, camerieri, facchini, vetturieri, concierges, femmes de chambres e orchestrali.
PSQ:- Benché lo staff, dal vetturiere alla concierge, dallo chef della brigata all’housekeeping facciano sentire parte di una famiglia, seppur allargata, come è quella di Tremezzo.
GL:- Assolutamente.
PSQ:- Sono piccoli particolari, tutt’altro che insignificanti, a diversificare l’offerta delle due strutture. Anche in cucina abbiamo due anime diverse. Presazzi a Terrazza Marchesi e Viviana qui da noi. Però riteniamo che la Villa e il Grand Hotel possano parlarsi e comprendersi bene malgrado le differenze. Da quest’anno abbiamo Nese, storico sous chef di Presazzi qui a Passalacqua. Gli scambi ci sono. Le cifre si distinguono ma impariamo gli uni dagli altri prendendo dalle diverse esperienze quello che serve per migliorarsi.
GL:- Come si diversifica la comunicazione del Grand Hotel rispetto a quella di Passalacqua?
PSQ:- La comunicazione è simile. A noi piace raccontare. E piace raccontare la storia dei nostri dipendenti. E lo facciamo sia a Passalacqua che a Tremezzo. Parliamo di quello che possiamo offrire senza essere troppo commerciali nel racconto. Offriamo uno stile di vita, delle emozioni che, in fondo, non hanno prezzo rispetto alle quali il commercio, seppur importante, passa in secondo piano.
Confesso che Passalacqua stupisce per la bellezza più classica che qui a Moltrasio è fatta in buona parte di persone umane e molto umane. Da Daniela, la flower designer, che prepara i fiori per le stanze, le aree comuni e mette la sua mano a disposizione dei bouquet di benvenuto per gli ospiti a Beppe il barcaiolo passato dalle motonavi alle barche storiche di Passalacqua. Con lui si parla dei venti, del Tivano che soffia fino a metà mattino o della Breva che segue il Tivano quando questo si acquieta. E di come non ci si stanchi mai di guardare il lago perché la luce cambia ogni secondo. E la luce è elemento d’arredo per Silvia che lavora con vetri di Murano e lampadari monumentali. ‘Se guardi Passalacqua dal molo’ confessa Silvia, ‘le finestre sono illuminate come avessimo mille lumi di candela per accogliere una festa. Non è stato facile creare questo effetto perché il mercato non offriva soluzioni tecniche appropriate’. A Giovanna la paesaggista cui piace che gli ospiti si possano sentire nel giardino di casa quando passeggiano nel parco e siano liberi di cogliere i fiori come dovessero addobbare una stanza della propria casa. ‘Abbiamo un’infinità di rose e di ortensie come un tempo. Mancano solo le viti che erano una ricchezza dei terrazzamenti dei giardini nelle stampe d’epoca di Passalacqua’. Senza dimenticare Francesco e Andrea, i manutentori al campo da tennis, Gabriele il giardiniere con il suo soffiatore, Edoardo e Antonio al Bar, Sabrina e Gianluca, Isabel alla Spa, Caterina e Cathy, le femmes des chambres, bionde come la paglia baciata dal sole.
Miglior hotel al mondo
GL:- Che effetto fa essere il miglior Hotel al Mondo?
PSQ:- Intimorisce perché Moltrasio è confrontata con New York, Londra, Shangai… che sono note a tutti, proprio tutti. Ci si chiederà che cosa sia Moltrasio.
GL:- Queste classifiche hanno da un lato un senso e da un altro meno senso. Annoverano ovviamente tutte strutture che costituiscono un’eccellenza dell’ospitalità. Difficile valutare la migliore al mondo in assoluto. Prendiamo la classifica delle migliori osterie d’Italia: una è a Firenze, una a Palermo, una a Torino; alcune fanno pesce, altre carne. Come posso paragonarle nella loro eterogenea eccellenza?
PSQ:- In finale a Londra c’erano 21 hotel europei e 18 asiatici dei più importanti gruppi alberghieri mondiali. È stata una straordinaria sorpresa che riempie di gioia e di orgoglio, un’emozione fortissima già essere tra i finalisti. Si figuri vincere. Lo consideriamo un premio al coraggio di una famiglia di fare impresa nell’hotellerie di alto livello. Secondo il concetto di ospitalità che rappresentiamo e che porta i De Santis a curare le strutture come fossero dei figli.
GL:- Un amore corrisposto dagli ospiti…
PSQ:- … e dai Moltrasini che amano Passalacqua. C’è sempre stato un rapporto molto bello con i proprietari che aprivano il parco della villa al pubblico che vi accedeva dalla scalinata pedonale. C’erano sempre attività ludiche, sportive o culturali. Il merito va alla Baronessa Ruby von Sederholm Nalder che nel 1914 affitta la villa allora di proprietà di Ignazio Dell’Oro. Era una benefattrice. Assume la refezione dell’asilo. Offre lavoro come giardinieri ai tanti operai disoccupati durante la Guerra Mondiale. Istituisce la festa dell’albero di Natale con regali per i bambini di Moltrasio e cesti di cibo per le famiglie più bisognose del borgo. È la Baronessa che riporta la Villa all’antico splendore dopo la morte di Giovan Battista, ultimo Conte Lucini Passalacqua. Organizzò concerti e rappresentazione teatrali nel giardino. La Baronessa era una donna estremamente attiva e moderna: guidava, aveva un amore particolare per le auto sportive e i motori in generale.
La colazione
C’è opulenza e una ricchezza tipica di una casa nobiliare che non può, e non deve, essere confusa con l’abbondanza strabiliante della colazione di un Grand Hotel dove la magnificenza è quasi esagerata perché l’accoglienza deve essere ostentata e profusa. Qui non è necessario. La dimensione del lusso è più gentile, oserei dire intima. E il percorso delle colazioni richiama il focolare con i passaggi in cucina per le cotture e il rapporto diretto con la brigata, che son più cuochi personali di una squadra, e con il personale di sala per i servizi. Una cucina ricca di ceramiche più che a Capodimonte dove i cibi sono esposti sul grande tavolo protetti da un camino monumentale. Ma è la dimensione domestica che prevale, seppur aulica, raffinata, elegante. E, pur nell’abbondanza, domina la misura perché l’eleganza della colazione si conforma alla dimensione di un nobile vivere quotidiano e non all’eccezionalità di un passaggio in hotel, dove la parata conta e si sfoggia un lusso esibito simbolo di uno stato che va dichiarato per affermare un posizionamento sociale. A Passalacqua conta la cura che ci prendiamo di noi stessi, intima, quasi introversa. Conta l’ascolto delle proprie emozioni, la gestione dello stress, la pratica della gentilezza come cortesia personale utile a coltivare il proprio valore. E il dialogo è con la parte più intima, delicata e bisognosa del nostro io, desiderosa della nostra e dell’altrui cura, in un dialogo con noi stessi di cui siamo voce e uditori. Per questo a Passalacqua c’è un affidamento.
In cucina sono solo. E mi viene spontaneo parlare di cucina più che di sala del buffet benché gli allestimenti siano ricchi e di una eleganza leggiadra in cui uccellini di porcellana e fiori e foglie e creature dipinte delicatamente nella plasticità della posa sono sul punto di spiccare il volo per un battito d’ala o un soffio di vento. Rendono così una pace tutta agreste e addomesticata che predispone alla mitezza.
All’ora della mia colazione la villa ancora dorme e mi ritrovo nel mood delle mattine off quando non c’è lavoro, si riposa qualche minuto in più poi però la primavera avanzata che rischiara chiama a vivere il risveglio di un giardino bucolico con i transiti di luce che governano il passaggio dalla notte al dì. E ci si alza nel dormiveglia degli altri e niente più di una cucina con i silenzi che una casa addormentata ancora trasmette, degli spazi comuni vuoti e a completa disposizione, merce assai rara al giorno d’oggi, dove tutto è affollato e caotico, dei rumori di un mobile, del tempo, di quegli orologi meccanici che segnano il passo della vita con un ticchettio immaginifico sono accoglienti, capaci di un abbraccio che conforta come è di conforto un utero materno per il feto. E ci sono profumi che evocano il bello e il buono. E il cibo ben disposto, con i giusti spazi, le sequenze cromatiche più gradevoli, le forme originali che accompagnano come elementi di arredo l’occhio lungo linee di gusto tutte visive sono la cura più amorosa che possiamo ricevere. Lo spazio, e la sua gestione, è importante per il nostro benessere, in termini quantitativi e qualitativi. Non deve spaesare e non deve essere claustrofobico perché, quando raccogliamo cibo, il buffet è il luogo di foraging post litteram per la nostra specie, ricerchiamo sicurezza, lo spazio aperto allarma e lo spazio confinato irrita socialmente per un’ipotesi di eccessiva vicinanza perché vediamo negli altri dei competitori per il cibo e quindi dei rivali.
“Il pane è importantissimo” mi ricorda Viviana. “Ma non possiamo avere una sezione di panificazione nella nostra cucina come fossimo un hotel da cento camere. Noi siamo tailor made in tutta la nostra offerta. Il servizio è sartoriale. Siamo dei figurinisti delle lievitazioni che interpretano idee creative, trasformandole in prototipi dettagliati che mostrano le linee, i colori, i volumi e i particolari di un pane. Diamo forma e misura ai nostri lievitati perché la misura ha il suo senso non foss’altro per essere una qualità fondamentale per la saggezza umana, legata alla capacità di valutare e ordinare le cose. E abbiamo pane in cassetta, bianco e integrale; pane con semi, con cioccolato e con grano arso; a lievitazione naturale, semintegrale con mais e focacce bianche che soddisfano le moderne tendenze che favoriscono prodotti da forno salutistici e sostenibili.
Il benvenuto della cucina parte dalla tradizione italiana. La brioche col tuppo è accompagnata con granita di caffè e mandorla; il maritozzo con la panna; una bruschetta con salsa di pomodoro fatta in casa e ricotta. Io prendo in libertà dal tavolo dei dolci la miascia di Bellagio, la torta di mais e la torta di rose al burro. Nelle forme antiche degli stampi hanno un fascino retrò e un’eleganza che assolve sia al gusto sia alla texture unica. Mangiamo con gli occhi prima di tutto. Così facciamo con la torta di farina di polenta e mandorle; la red velvet ariosa al grano saraceno e mirtilli, il plumcake soffice al limone e yuzu; la torta delle rose che è un bouquet di boccioli belli come la giovanissima Isabella d’Este il giorno delle nozze. Gluten-free è il banana bread tenero e umido con noci pecan e la torta di carote con le sue spezie esotiche.
Poi si cresce in succulenza con il sartù di riso, polpettine e piselli; la pasta ai salumi misti; il gâteau di patate, la creme brûlé alla cipolla, la kitsch alle zucchine o ai porri, la tarte ai pomodorini. E si continua con le zucchine stufate, la classica peperonata, il gazpacho, l’hummus cremoso, le patate al forno con salsiccia di maiale e purée di patate. Il salmone è marinato dalla casa. Frutta fresca e verdure varie sono le crudités. E tra i pani ecco il burro di Normandia, il gorgonzola e le mozzarelle che hanno un trattamento speciale. La selezione di salumi è di altissima qualità: bresaola, ‘nduja, prosciutto crudo, coppa, salame, la pancetta Giovanna ‘in tre cotture’ che unisce il destino di due grandi pancette in una grazie alla cucitura a mano e alla legatura di due pancette sorelle e che da sola è un concentrato di aromi buoni, di morbidezza e di miele.
I formaggi hanno il loro spazio. ‘Sono i migliori italiani, non cerco quelli francesi. Abbiamo una tale ricchezza in Italia…poco mi importa siano del Nord o del Sud. Senza nulla togliere alle eccellenze d’Oltralpe, credo nell’italianità delle materie prime al di là di una tipizzazione territoriale più specifica. C’è una cura maniacale per gli ingredienti nella nostra cucina. Me ne occupo personalmente’.
E i suoni della crosta di pane croccante al taglio, lo sfrigolar allegro del burro che attende le uova, il taglio netto di un ortaggio croccante, il vaporoso ondeggiar delle stoffe, il gorgoglio pastoso del latte fermentato nella scodella, il pane in tostatura che crepita in cottura come pioggia valgono più di un massaggio. Armonizzano l’intero organismo, rendono il respiro meno affannoso, il cuore brachicardico, lasciando alle endorfine il facile gioco di indurre un benessere psicofisico capace di rendere mansueta la nostra sfera emotiva e di portare all’orgasmo cerebrale.
Tra ospiti americani e chiacchiere varie
È una colazione che meraviglia. ‘L’ospite americano specialmente non si rende conto di quanto sia vasto il patrimonio artistico e culinario dell’Italia. Noi abbiamo una cultura del cibo pazzesca e inimmaginabile’ sottolinea Micaela Borghi.
GL: – Sia come varietà che come modus vivendi del cibo. Poche culture come la nostra, forse anche grazie alle infinite stratificazioni culturali che abbiamo saputo fare nostre e integrare come elementi strutturali nella nostra identità culturale, parlano del cibo quanto noi facciamo sia a tavola sia lontano dalla tavola
PSQ: Imparano in fretta e hanno una buona predisposizione a farsi guidare. Noi offriamo loro piatti confortevoli per avvicinarli alla cucina italiana, pardon, alle infinite cucine che ritroviamo nelle nostre tavole e che ne rappresentano l’anima.
GL: – In fondo l’Hotellerie deve fare dell’accoglienza un cardine del proprio servizio mettendo a proprio agio l’ospite.
PSQ: – Certamente. Ed è per questo che abbiamo piatti diversissimi ma di facile lettura: il buon spaghetto al pomodoro, la pasta con le vongole, la cotoletta, le pizze.
GL: – Un ritorno alle origini per Viviana che con la pizza c’è nata.
PSQ: – Esattamente. E sono tutti piatti cui anche uno straniero può pensare prima di venire in Italia. Il nostro bar ovviamente ha un menù per un dining ancora più confortevole e più vicino all’offerta di un bistrot. Perché è giusto avere outlet che chiedano all’ospite più disimpegno o più impegno. Il passaggio nel ristorante di fine dining è sicuramente un percorso piacevole, ma che richiede attenzione e una certa dedizione per comprendere culturalmente e decifrare la linea di pensiero di Viviana che ha portato alla nascita di ogni piatto. E in una vacanza ci sta il disimpegno perché anche il dining deve essere rilassante come del resto ci sta una visita più approfondita della nostra cucina.
GL: – in un ristorante di fine dining se non ci si avvicina solo a cuor leggero c’è la ‘fatica’, che poi è piacere, dello studio
PSQ: – Per tutti, anche per noi Italiani che abbiamo maggiore familiarità con la nostra cucina.
GL: – E con la brace? Una delle dimensioni che ha qualificato il curriculum di Viviana Varese?
PSQ: – Devo ammettere che la cottura alla brace è percepita dall’ospite come una forma di cottura meno aristocratica di altre e che l’ospite si aspetta di trovare meno di altre soluzioni in cucina. In estate però abbiamo a bordo piscina un Ofyr che può essere utilizzato per un’offerta più sorprendente. C’è l’intenzione di riproporre un formato legato al fuoco che ha avuto successo al Villadorata senza stridere con lo stile di Passalacqua.
GL:- Tra gli appuntamenti più chic?
PSQ:- Sicuramente i pic-nic con i cestini eleganti che trasformano la passeggiata o la gita a medio corto raggio in eventi ancora più chiccosi. Una delle esperienze più belle è sicuramente una gita in motoscafo d’epoca sul lago. L’itinerario più classico collega Moltrasio a Tremezzo. Ci teniamo a far conoscere il Grand Hotel a chi soggiorna a Moltrasio come del resto riteniamo di interesse un passaggio a Passalacqua per gli ospiti del Grand Hotel. Lo stop a Tremezzo include un passaggio da ‘Giacomo al Lago’, avamposto all’aperto di Giacomo Milano diventato un epicentro di stile del Lago di Como con i suoi piatti di pesce direttamente sul pontile.
GL:- Come si coniuga il lusso nelle vostre strutture?
PSQ:- Il lusso e il comfort delle nostre strutture è molto elevato in entrambe le location che restituiscono spazi abitabili ai luoghi di ospitalità e non accolgono turisti ma viaggiatori. Dove il tempo conta in termini di disponibilità solo se di qualità e la personalizzazione del luogo dipende da interior design e maestri d’ architettura, ma soprattutto dai servizi che non possono prescindere da una particolare attenzione a variabili psicologiche e di comunicazione in un contesto di self-customization che è mediata sì dalla tecnologia ma che del personale di contatto fa il cardine.
Arriva Viviana Varese
Mentre chiacchieriamo amabilmente arriva Viviana Varese. Si siede al mio tavolo dove ho ancora qualche piattino Richard Ginori e il menù la cui copertina è più delicata di una stampa kachō-ga giapponese. Ho un ricordo di Viviana Varese. Anni fa. Poi non tanti per l’esattezza. Ai tempi del mio Master in Simbologia del Vino e del Cibo al San Raffaele quando eravamo ospiti di Angela Frenda e della redazione di Cook Corriere della Sera alla Fabbrica del Vapore di Milano. Viviana aveva fumato una sigaretta seduta su una panchina che dava su palazzi anonimi ed aveva accolto il nostro entusiasmo di studenti seppur un po’ attempati di condividere una foto nella pausa pranzo. Guardavo con curiosità quella figura che coniugava accenti punk rock a una dolcezza negli occhi difficili da conciliare con una presenza capace di riempire lo spazio che trasmetteva forza, fisica e caratteriale, vigore, una operosità mai doma, una consapevolezza innata e tanto amore perché cucinare è un gesto con cui nutrire l’altro prendendosene cura.
Ora la ritrovo a Passalacqua nei panni di una perfetta padrona della cucina, elegante, mai manierata perché mantiene una sua originalità affatto ricercata, studiata o artificiale. Ed è a suo agio tra salotti e sale da tè, porcellane, affreschi, la fluida bellezza senza tempo del seminato veneziano, tende di seta, libri della biblioteca, lampadari artistici, tessuti pregiati e carinerie paesaggistiche del parco in un contesto che non grida, dove i silenzi contano, e tanto, e il tempo di cui si dispone con copiosa abbondanza, è un lusso antico tornato attualissimo, segnato dalla luce variabile del lago, dall’ombra delle piante che disegna spazi irregolari sulle terrazze, da un merlo fugace che passa leggero nella siepe, dagli ombrelloni spampanati dal vento, dalla sobria eleganza della torre campanaria di Sant’Agata che si riflette più o meno timidamente nella piscina. Quale Viviana Varese mi ritroverò qui a Passalacqua, e quale cucina? Quella di Faak, cibo e vino a ribellione naturale, pop e anarchica, le cui parole chiave sono ‘fuoco e pane senza padrone’, ‘pandemonio e santapazienza’, dove non ci si mandano mail ma ‘ci si dice tutto’, non si prenota un tavolo ma lo si occupa quasi fosse un esproprio proletario, ‘fermamente diversi, attivamente ribelli’? Quella di ‘Polpo semplicemente pesce’ con la sua attenzione alle cotture? Cosa rimane di Viviana Varese, di Alice Ristorante e di ViVa, e della sua stella Michelin? Di Viviana e della sua cucina mediterranea dove trionfa il mare, ma non manca la terra e il rispetto assoluto degli ingredienti, che son sacri, quelli del Sud e della Costiera Amalfitana che sono le radici materiali della biblioteca dei sapori di famiglia della chef e di una terra dove sovrani sono il pomodoro e il limone. O rimane la cifra più contemporanea, tecnica e esplorativa, in fondo più cosmopolita del passaggio creativo di Viva che è avanguardia più che memoria e un bellissimo inno alla vita? Dove ‘sperimentiamo, ci nutriamo di curiosità e nutriamo le idee; impastiamo culture e ricordi, spunti e memorie. Non smettiamo mai di inventarci, sempre con lo sguardo puntato oltre, travolgendo l’aspetto, le consistenze, le forme’. O la Viviana che ama le cotture ancestrali, quella del fuoco e della brace, primitiva ed essenziale, vivace e che dà calore. Oppure ritroverò le molte Viviana Varese che hanno segnato la crescita della chef salernitano perché siamo tante matrioske che si alimentano le une delle altre senza cannibalizzarsi e non possiamo cancellare nessuna delle tante anime che ci caratterizzano e di cui gli altri colgono, se va bene, una sola dimensione? L’ho imparato da tempo, da quando, da uomo di scienza noto a tutti per la mia attività accademica, mi sono proposto come poeta ai miei concittadini di cui lessi lo stupore sul viso per una dimensione, quella della mia scrittura, ignota ai più. Se, come penso, tutto resta in noi di quello che siamo stati e quello che ora siamo si alimenta continuamente attingendo a quello che siamo stati, non mi meraviglia che Viviana, diretta, senza filtri apparenti, colorata, vivace, pop, forte, determinata, visionaria, instancabile, disobbediente sia ora la padrona di casa educata che non rinnega nulla del proprio passato perché, a ben vedere, la nostra ricchezza è la capacità di essere uno nessuno e centomila, coerenti con noi stessi pur nella diversità che ci contraddistingue e ci permette di adattarci con classe a contesti rock, pop o di raffinata eleganza che segnano la cifra stilistica dei luoghi che decidiamo di abitare nelle diverse fasi della vita. Ci vuole per questo una flessibilità mentale ed emotiva per gestire le sfide, riconoscere i propri bisogni e usare il proprio equilibrio interiore come guida, un mindset orientato al successo e alla crescita, che accetta la responsabilità della propria vita, pensa in grande e si focalizza sulle opportunità anziché sugli ostacoli. In fondo che noia essere monotematici quando ci si sente multi-task e si può essere bakery, caffetteria, pizzeria, braceria, cucina tradizionale o d’avanguardia, rivendita, banchettistica, diversificando le proprie attività. Specialmente quando la personalità è ricca e complessa, difficile da contenere, bisognosa di espandersi, di coniugarsi e di darsi, irrequieta nel far nulla, e si completa attraverso il fare, l’avere le mani in pasta che per un cuoco è più di una metafora. Meglio ribelli, alternativi, anticonformisti, eleganti, raffinati, legati alla tradizione, a proprio agio nell’innovazione, se siamo a Faak, a Polpo o a Passalacqua, perché è l’eleganza dell’educazione e del savoir-faire che porta a saper essere se stessi, senza sbavature, senza rinunciare a nessuna urgenza espressiva, capaci di non sfigurare nel mondo, qualunque corda della nostra personalità stiamo facendo risuonare. Coerenti con i luoghi che abitiamo. Viva la fluidità.
GL:- Come si arriva a Passalacqua?
Viv :- Ci si arriva dopo trent’anni di carriera. Ho cinquantun anni, un ristorante da quando ne ho ventuno. Ho la maturità per un faak quando serve e l’educazione per vivere Passalacqua come una nobildonna allevata nel miglior collegio svizzero. Bisogna sapersi comportare senza contraddirsi e senza essere inadatti. Ma è bellissimo così. Ho un’età per cui non devo dimostrare più niente a nessuno, se non a me stessa, e posso lavorare bene in una casa straordinaria come Passalacqua. Una macchina poderosa che lavora 24 ore al giorno al servizio degli ospiti e dove tutto deve essere perfetto.
GL:- Come è nato questo incontro?
Viv:- Mi sono trovata casualmente con Valentina De Santis a Women in Food. Abbiamo parlato a lungo e c’è stato il giusto timing perché l’incontro fosse proficuo. Avevo da poco chiuso un ristorante. Valentina doveva mettere a punto i servizi di ristorazione di Passalacqua. Una combinazione vincente.
GL:- E vi siete scelte…
Viv :- Ci siamo scelte come in tutti i matrimoni. Se c’è libertà ci si vuole in due. E proprio per questa libertà di volersi finché ci si desidera ho voluto contratti molto brevi.
GL:- Una relazione che è tutto sesso? Sesso e amore? Solo amore?
Viv. :- [Viviana sorride]. Forse come in tutte le famiglie nobiliari i matrimoni sono la giusta combinazione politica, amministrativa, di equilibri internazionali, di rispetto, affetti e amore all’interno dei quali gli sposi devono imparare a gestire la propria libertà di espressione come individui. Nel rispetto dell’individuo e nel rispetto della famiglia che ti accoglie. E in un matrimonio si sa che ci sono delle responsabilità. L’obiettivo di Valentina era quello di far sì che Passalacqua, miglior hotel al mondo, avesse anche una tra le più buone cucine al mondo, partendo dalle colazioni, il cui richiamo prescindesse dalla fama ormai acquisita da Passalacqua come hotel di lusso. Ma con una cifra precisa: quella dell’accoglienza di una casa. Importante, nobiliare, con un lusso evidente, ma gentile, pur sempre un’accoglienza domestica tutta italiana dove gli ospiti in fondo sono trattati come fossero degli invitati a trascorrere un periodo di villeggiatura al lago. Che facesse sentire agli ospiti la bellezza del cibo italiano, il senso di una colazione italiana, il glamour del lago e il calore unico di una famiglia che, in Italia, è materna nell’accoglienza per tradizione.
GL:- Como è una destinazione di nicchia incredibile…
ViV:- …dove si va apposta e nel mio caso apposta per soggiornare a Passalacqua. Io completo l’offerta con il pranzo, la cena e le colazioni.
GL:- La colazione è importantissima.
ViV:- Proprio perché di tutti i servizi è quello di cui la quasi totalità degli ospiti fa esperienza. La colazione a mio avviso conta più del 50% della parte ristorativa. Certo degli ospiti si fermeranno a pranzo o a cena ma una colazione quando soggiorni in un albergo la fai sempre.
GL:- Fate tutto in casa.
Viv :- Non c’è nessun prelavorato. Anche nelle creme di pistacchio e di nocciola. Abbiamo tanto lavoro di cucina. Per il taglio delle verdure e della frutta. Esponiamo piccoli piatti perché così garantiamo un minor tempo di permanenza nel buffet. Per le torte usiamo stampi antichi perché la forma bella conta. Serviamo dalle 7 alle 11. Ma alle 5 il personale già lavora alla colazione.
GL:- Come è organizzata la tua cucina?
ViV:- Ho un Executive chef, Roberto Nese, di famiglia qui a Passalacqua perché ha lavorato a lungo al Grand Hotel Tremezzo, di proprietà dei De Santis. Andrea Abate è il mio Sous Chef, Marco Sannino lo Junior Chef e Martina Brachetti l’executive Pastry Chef. Oltre a loro ci sono 16/18 persone che compongono la squadra. La parte creativa e la scelta degli ingredienti è sotto la mia diretta responsabilità così come il controllo delle procedure
GL:- Molti talenti, molti operativi? Più genio e sregolatezza oppure più metodo e disciplina?
VIV:- Una brigata di cucina efficace deve combinare sia talenti che operatori poiché i ruoli richiedono competenze diverse e complementari per garantire professionalità, precisione e un servizio di qualità. Le posizioni di vertice richiedono talento, visione e leadership, mentre le mansioni più operative necessitano di precisione, abilità tecniche ed esperienza per eseguire compiti specifici. Ti direi che in cucina, e in pasticceria, ci vogliono gli operativi. Poi ci vuole qualche creativo e… se ti va bene hai un talento su mille. Il talento è istinto puro. Può essere senza regole e senza precisione. Ma se un talento accetta di ricevere un’educazione la sua forza si moltiplica. Nella mia vita ho avuto mille dipendenti. Ti posso dire che di talenti ne ho avuti due. Di creativi una decina. Poi molti bravi operativi e molto altro.
GL:- Talenti si nasce.
ViV:- Se uno è un talento è un talento. Ne ho uno con me e ha lasciato la scuola. Ma lui si emoziona quando cucina. E’ un caso a parte. Gli si perdona l’imperfezione se ha e realizza grandi visioni.
GL:- A livello formativo cosa manca?
Viv:- Gli alberghieri hanno difetti, certo. Ma per me manca la cultura del cibo nelle famiglie… [La pausa di riflessione è lunga] Le famiglie non preparano più alla vita. E questo è un ruolo che, a mio avviso, la scuola non può vicariare. La mia biblioteca dei sapori si è strutturata nella mia famiglia, grazie a mia madre e, in parte, a mio padre. Bisognerebbe poi certo investire nella scuola e molto meno nei social. Ci sono comunque eccellenze come Casargo e Alma, due strutture di formazione con costi diversi e funzione diverse.
GL:- La cucina è un laboratorio di apprendimento.
VIV:- Le cucine sono laboratori formidabili per gli studenti che devono completare il percorso formativo. È importante che le cucine accolgano studenti per uno stage. Poi ci sono giovani cuochi che iniziano il loro percorso di crescita. E la formazione continua ha senso in cucina. Mi piace formare sia in cucina sia attraverso corsi specifici presso scuole di alta formazione o semplicemente nei miei locali. È bello quando una brigata incontra e si racconta rivelandosi. È bello avere accanto persone che vogliono conoscere. La cucina è condivisione. Divulgare fa parte del lavoro di un cuoco.
GL:- Che maestra sei?
Viv:- Sincera. Severa. Vedi io ho un carattere, sono un leader e non è facile lavorare con me. Sai, un uomo che si arrabbia è autoritario, una donna che lo fa è solo una povera isterica.
GL:- Siamo quindi ancora in un sistema che vede differenze tra uno chef uomo e uno chef donna?
VIV:- -Assolutamente. Senza voler generalizzare ma la cucina rimane bianca, eterosessuale, misogina e razzista.
GL:- Grandi chef dicevano ‘Fuori le donne dalla cucina’.
VIV:- si perché le donne sono più lunatiche, direi ormonali e creano problemi relazionali. In una cucina di tutti uomini è una lotta. Si combattono guerre. La gerarchia di una cucina ha una struttura militare, il linguaggio è militaresco e l’esercito, come la guerra, è per definizione maschile. E con le donne gli uomini possono distrarsi da questa lotta. Poi considera che l’uomo chef è manager. È leader. Le donne leader sono sempre boicottate.
GL:- Nel mondo dell’alta cucina le donne sono ancora poche…
VIV:- … la leadership è spesso maschile malgrado la donna nutra e sia la regina delle cucine di tutte le case.
GL:- Il covid come ha cambiato la ristorazione?
VIV:- L’esperienza ha cambiato profondamente la ristorazione. Come imprenditrice ero concentrata esclusivamente sul mio ristorante che faceva numeri incredibili prima del covid. La parola chiave dopo la pandemia è stata diversificazione. Pena la sopravvivenza. Così è nato il progetto della gelateria con l’associazione Cadmi. Così nasce Faak. Così nasce l’esperienza al country resort di Noto. Così nasce Polpo. Ci vuole una cucina più informale. Amo fare molte cose. Sono in fondo multitask.
GL:- Spesso l’accusa che si muove alla cucina stellata sono i costi.
VIV:- Il mercato c’è ancora. Il problema principale è che siamo in tanti. E sempre di più. Lo stellato costa e deve costare. E non pensare che il costo di gestione più alto sia il cibo. Commetteresti un errore. E’ il costo per la manodopera la voce di spesa principale. Le brigate sono degli eserciti.
GL:- In Italia tendiamo a far pagare poco il cibo rispetto agli standard europei e non siamo sempre disposti a riconoscere il giusto prezzo al valore del cibo che portiamo in tavola.
VIV:- Se un chilo di vongole costano 25 euro e per uno spaghetto ce ne vuole almeno mezzo, come posso far pagare poco un primo come questo? Una ristorazione meno estetica, con meno ricercatezze e leziosità che faccia però qualità perché i cuochi, anche giovani, hanno imparato a cucinare bene e rispettano le materie prime 66non ucciderà l’alta gastronomia. Ci sarà sempre una cucina prestigiosa che faccia ricerca e porti all’innovazione.
GL:- il vero problema è che la ristorazione più popolare è spesso mediocre perché lavora utilizzando semilavorati, cerca prezzi bassi, cura poco la qualità di tutta la filiera.
VIV:- Spesso è così. Ma è anche una questione di educazione. La gente non riesce più a capire quando un piatto è fatto bene o è fatto male. Si sta abbassando la qualità del gusto e del cibo in generale. Se molti fanno cucina con prodotti mediocri non si abitua più la gente alla qualità del gusto e nel tempo si perde la capacità di discriminare tra buono e mediocre. La famiglia non è più quel centro di eccellenza in cui ci si allenava alla qualità della tradizione, al gusto. Oggi la gente ha meno competenze, ha minore potere di spesa, vuole solo svago, disimpegno. Vogliono staccare.
Creatività
GL:- I piatti cambiano. Si evolvono. Se consideriamo pasta e patate, uno dei tuoi classici, vediamo una bella evoluzione del piatto
VIV:- Dalla pasta e patate di mia madre sì. Io non ho inventato nulla. In cucina non esiste l’originale. Sono partita dal piatto che faceva mia madre. Ho copiato i gesti che ho visto fare per anni. Ho copiato i gusti. Creare un piatto non può prescindere dal raccontare il primo vissuto. Ma ho copiato con originalità perché la cucina è movimento. Riproduce attingendo dalla propria storia. E la pasta e patate è diventata ‘pasta e patate di mare’ aggiungendo estratto di basilico, totanetti e pecorino. Poi è diventata ‘dolce come un bacio salato’ quando le conchiglie erano in crema di patate e pecorino, con anemoni di mare fritti e pinoli. Ed è finita in ‘barocco’ con gli anellini siciliani, patate affumicate e pesto di pistacchio.
GL:- Lo stesso vale per lo Spaghetto alle vongole che nasce ‘come lo fa mammà tu non lo sa fa’ e diventa ‘l’insuperabile’.
VIV:- Un super spaghettino con brodo intenso di anguilla affumicata, vongole, polvere di tarallo e limone.
GL:- Sei partita da una cucina tradizionale per poi rivisitarla.
VIV:- Travolgendo l’aspetto, le consistenze, le forme. Mantenendo però autentico il rispetto delle materie prime.
GL:- Non c’è innovazione senza tradizione
VIV:- Esattamente. Una ricetta, un nuovo piatto sono il risultato di un’esperienza, delle tradizioni, dei saperi che ci siamo tramandati. Del dizionario dei gusti dei cibi che mangiamo nel corso della nostra vita. Il palato si affina con l’esperienza, la sperimentazione, il viaggio. Copiamo dalla mamma. Copiamo dai libri di cucina. Copiamo dai nostri maestri. Copiamo dai capopartita. Ma in senso più ampio copiamo dalla natura, dalla vita. Copiare, se preferisci, imitare, fa parte dell’apprendimento. È dall’infanzia che copiamo e impariamo copiando. Non c’è nulla di autentico. Solo copie originali.
GL:- Copiare deve essere un atto etico. Ricordo la mia professoressa di greco che diceva sempre: ‘lo strabismo di Venere non paga nella vita’ quando si sbirciava il foglio del compagno.
VIV:- Io dichiaro sempre quando copio e non mi vergogno di farlo. Ho preso da Angel Leon l’uso del plancton per realizzare un risotto con brodo di seppia, alioli e lime. O da Gualtiero Marchesi un raviolo aperto. Di seppia con capesante, gamberi e frutti di mare scottati con salsa d’arancia. E i piatti si chiamano Omaggio a Angel Leon e Omaggio a Gualtiero Marchesi.
GL:- La pizza a te tanto cara si evolve come se si ‘auto-copiasse’ nel corso degli anni.
VIV:- Gli ingredienti sono sempre gli stessi: pomodoro, basilico, mozzarella, grano. Ora però uso grani autoctoni. Scelgo produttori di fiducia. Sperimento.
Il fine dining non morirà
GL:- Crisi del fine dining si o no?
VIV:- Più che di crisi parlerei di evoluzione. Forse siamo meno dei di un tempo ma la gente ha ancora molta attenzione per gli chef stellati. Il fine dining è sinonimo di cucina stellata. Siamo invitati ovunque come ospiti vip. Ci desiderano ancora.
GL:- Milano è una città che si annoia facilmente.
VIV:- I ristoranti vengono mangiati velocemente. È sempre più complicato fidelizzare. Tra qualche anno ci sarà una grande desertificazione.
GL:- O i ristoratori cambiano di continuo format per stare al passo col tempo o è la fine.
VIV:- E stare al passo coi tempi vuol dire avere un’idea e che questa sia forte, cioè unica e ben definita, capace di differenziarti, essere memorabile. E bisogna avere una squadra capace di portare avanti questa idea. Da soli non si va da nessuna parte. Ci vuole un bravo cuoco, un bravo gestore di sala, personale che abbia il piacere di stare con gli altri. Ormai il servizio ha importanza pari alla cucina. La location conta e ci vuole coerenza tra l’ambiente e il tema del locale. C’è bisogno di un ufficio stampa valido che dia voce al brand e un bravo manager dei canali social. La gestione dei social è un gran lavoro. Senza social non si è nessuno. Si spende molto per la comunicazione. Non basta più saper cucinare per aprire un ristorante e lavorare bene. Bisogna avere voglia di fare e di mettersi in gioco. La vita è legata a doppia mandata al proprio locale.
GL:- E senza la giusta critica gastronomica…
VIV:- Con la stampa in generale è un gioco a due. Non esistiamo senza la stampa e la stampa non esiste senza di noi.
La cucina di Viviana Varese a Passalacqua
VIV:- Ho voluto creare un percorso gastronomico che si legasse alla storia della Villa, costruita appunto alla fine del ‘700, e ho riscoperto i classici della cucina delle famiglie aristocratiche vissute tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo. Recupero i piatti dell’aristocrazia, la cucina dei monsù, quella delle grandi maison transalpine, della corte borbonica. Un mondo poco conosciuto ai nostri giorni, una vera riscoperta. E’ una cucina che celebra il bello e il buono, l’abbondanza. Sedersi a questa tavola, come a quella di Passalacqua, è una celebrazione che deve dare la certezza di essere trattato come un re.
GL:- È la grande cucina baronale che descrive Tomasi di Lampedusa ne “Il Gattopardo” o De Roberto ne “I Vicerè” e che abbiamo mangiato con gli occhi nelle splendide immagini di Luchino Visconti.
VIV:- Una cucina dalle ricche scene, teatrale. Opulenta nelle rappresentazioni. Ostenta ricchezza. Pensa solo all’effetto di una mise en place che prevede la parata di tutte le preparazioni in grandi buffet che vogliono stupire. Un colpo d’occhio certo appagante grazie a una tavola allegorica e spumeggiante.
GL:- Una cucina impregnativa.
VIV:- E’ una cucina difficile, molto complessa, laboriosa. Le cotture sono lunghe. Richiede tempo e pazienza. E’ una cucina rigorosa che non lascia molto spazio alla sperimentazione. Ed è una cucina che non ha misura. Esprime una grandeur che non può essere razionale. Utilizza ingredienti per certi versi inarrivabili.
GL:- di preparazioni magari antiche, ma che hanno un fascino senza tempo
VIV:- Una cucina di brodi, zuppe, minestre. Di timballi, gattò, sartù, ragu, crocché, paté. Di grandi carni, selvaggina, astici e aragoste. Che nessuno prepara ormai più, né a casa né al ristorante.
GL:- C’è attenzione alle salse, ai fondi, alle glasse, alle gelatine…
VIV:- … Alle frollature, alle cotture plurime, alle speziature decise.
GL:- Che richiedono fedeltà alle antiche ricette
VIV:- Pur mantenendo un tocco d’autore per attualizzarle e regalare loro un’anima quando serve.
Per questo Viviana ha ricercato, e a lungo, come la più dedita storiografa della cucina. Ha letto testi originali, trattati di studiosi. Ha seguito testi antichi suggeriti da amici giornalisti e avvicinato il Professor Montanari e i suoi sussidiari accademici di cucina. E al netto di tutte queste letture dotte ha prima di tutto dovuto capire un’epoca con i suoi approcci al cibo. Ma questo non è bastato.
VIV:- Mi sono dovuta sedere a tavola con i De Santis per capire quale fosse il senso di una loro cena. Sono dovuta entrare in famiglia, capirne i gesti e i riti, prima di poter iniziare il mio lavoro di ricerca se volevo che la mia cucina antica potesse trovare casa a Passalacqua soddisfacendo l’idea di classicità voluta dalla Proprietà.
GL:- E non è stato semplice perché non avevi mai fatto una cucina classica.
VIV:- Non ho mai lavorato in Francia. La mia è una cucina che nasce dalla casa, istintiva, con una grande attenzione alle materie prime la cui lavorazione è un gesto spontaneo, ma che poco aveva a che fare con i menu rigorosi che venivano serviti nelle famiglie ricche del Settecento e dell’Ottocento e che richiedevano gesti studiati e un rigore monumentale. Poi i De Santis hanno voluto alcuni piatti del lago E della tradizione lombarda.
GL:- Una cucina sorprendentemente internazionale
VIV:- Vedi la cucina delle case nobiliari europee aveva dei tratti precisi con elementi che si ripetevano da corte a corte. Ed era una cucina in qualche modo globale seppur non globalizzata nel senso moderno del termine, perché i Casati regnanti erano imparentati tra di loro, stretti in una tessuto di relazioni e dipendenze grazie a una rete di matrimoni ben studiata. Comunicavano e si parlavano creando uno stile comune in cucina attraverso una koine culinaria che ha portato la cucina della nobiltà a diffondersi per binari comuni da Mosca a Parigi, da Napoli a Vienna. I cuochi viaggiavano. E molto. Pensa al Regno delle due Sicilie e alla migrazione dei monsù dalla Francia alla Corte dei Borboni e dalla Corte alle famiglie nobiliari di Napoli e Palermo. C’era un commercio di materie prime molto intenso in Europa perché le grandi case nobiliari dell’epoca riproducevano gli stessi piatti che avevano bisogno di ingredienti comuni. Non c’erano i social network, non si può parlare di globalizzazione nel senso attuale del termine, ma l’internazionalizzazione della cucina era un fatto innegabile. A partire da comuni modelli gastronomici e ingredienti francesi, ad esempio, hanno portato a un processo di diffusione di tecniche, ingredienti e idee culinarie simili che hanno reso la cucina meno localizzata che nel passato.
GL:- I prodotti circolavano più facilmente, le conserve modificano i tempi di consumo. Ciò che era prima raro lo diventa meno. E’ grazie alla velocità della ferrovia che si conferisce alla tavola un carattere cosmopolita. Quali piatti ritrovo nella carta di Passalacqua?
VIV:- Tra i piatti più significativi abbiamo il Pithivier d’agnello ripieno di foie gras, verza e mela cotogna sciroppata; il timballo di maccheroni alla Bellini con ragù di carne; la lepre alla Royal con salsa speziata, canditi di arancia e puree di sedano rapa; il filetto alla Wellington; il timballo con la cacciagione la Patata in scrigno di pasta sfoglia, con crema di patata al lime, tuorlo d uovo, panna acida, erba cipollina e caviale Oscietra, la Crêpe Suzette preparata al tavolo; l’omelette a la Norvegienne; la Cassata siciliana con ricotta di pecora, canditi di limone e arancia, gocce di cioccolato e marzapane. Ci sono le ricette di stagione incoronate dal pregiato tartufo bianco d’Alba, astici e aragoste. Rimane però una radice italiana più popolare con la Pasta mista, patate, pecorino, parmigiano reggiano, pistacchio e menta; il Riso in cagnone con il pesce persico, l’Ossobuco di vitello, la Zuppa di pesce. Tutti piatti che sono espressione della cucina italiana, seppur nella diversità regionale della mia radice campana, di Milano dove vivo da anni o del lago che sto imparando a conoscere più da vicino e rappresenta bene i De Santis. Anche i monsù hanno integrato la nobile cucina francese con la tradizione più legata al popolo con risultati stupefacenti in termini di integrazione grazie a un dialogo aperto con la cucina popolare.
GL:- Una cucina che non perde la capacità di offrire un’esperienza conviviale…
VIV:- Celebriamo l’esperienza conviviale della tavola nella sua più alta espressione con le “Social Dining”. Il giovedì sera gli ospiti possono condividere il tavolo grande della nostra cantina. Dieci persone si ritrovano a tavola, si rilassano con la chiacchiera buona, si conoscono, socializzano e vivono la nostra accoglienza nel più intimo dei ritrovi.
GL:- Quale gesto accomuna di più che sedersi allo stesso tavolo
VIV:- Accomuna le persone perché favorisce la convivialità, la connessione e la tradizione. Farlo richiede accettazione. È un atto che crea un senso di comunità e appartenenza, facilitando lo scambio e l’interazione tra gli individui presenti.
GL:- I menù serviti riscoprono la cucina tradizionale attraverso ingredienti di stagione: selvaggina, polenta, bolliti.
VIV:- Sì. Davvero basta poco. Nella serata ‘la polenta’ è sufficiente a portare in tavola un bel paiolo di polenta gialla in abbinamento a gorgonzola dolce, porcini trifolati, uovo al tegamino e brasato di manzo al vino rosso o il paiolo di polenta ‘concia’ con burro e formaggio fuso. Basta l’Amor Polenta, un dolce di per sé semplice, con salsa calda allo zabaione e gelato alla vaniglia.
GL:- Se penso a Il Bollito ritrovo la convivialità della tradizione contadina, mi ritornano grandi tavolate, occasioni speciali.
VIV:- Una tradizione che prende spunto dalla necessità di utilizzare carni diverse a volte meno nobili, ma che si evolve in un piatto più elaborato, quasi nobile. Nel nostro caso il vassoio di carni miste è ricco: testina, lingua, cotechino, gallina, coda, cappello del prete, piedino di maiale. E si arricchisce di patate e carote bollite, cipolle all’aceto balsamico, maionese al limone, mostarda di frutta, bagnet verd, salsa Romesco, salsa Pearà, salsa al miele e salsa al cren. E come dolce non può mancare un Creme caramel al lingotto. [Poi riflette. Negli occhi di Viviana ci si può perdere. E riprende] I più potrebbero non pensarci, ma a Passalacqua ci sono le sontuose colazioni su cui lavorano la metà dei pasticceri a disposizione; la linea per la cena e per il pranzo che può essere servito al di fuori della sala ristorante, il servizio in camera, i carrelli dei dolci per la merenda, le degustazioni in cantina, le masterclass per gli ospiti, i menu per chi sceglie di vivere una giornata in barca, il ristorante tra piscina e giardino, gli eventi privati, i matrimoni. È un sistema complesso quello di Passalacqua che riassume più ristoranti in uno. Ma la cosa più difficile per un cuoco che viene a lavorare a Passalacqua è di essere preparato a fare di tutto. E di essere operativo h 24 perché ci possono essere richieste a qualunque ora del giorno e della notte. Ogni desiderio deve essere soddisfatto.
GL:- La cucina di un albergo è una grande palestra di vita.
VIV:- E non pensare che tutti gli chef stellati siano portati per questa vita. Molti hanno in mente solo i loro dieci piatti più rappresentativi e devono cucinare quelli perché così facendo soddisfano il proprio ego. Qua no. Noi abbiamo decine di piatti. L’ospite che viaggia può avere qualunque esigenza. Si impara ad amare gli altri più di se stessi.
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Il menu
‘Un tuorlo marinato su vellutata di patate e abbondante caviale, il timballo di bucatini e un profiterole per finire’ mi dice con sicurezza Viviana. Mi aspetta dolcezza e sapidità, pienezza di gusto, intensità piena e rotonda. La sorpresa è la farcitura di fungo porcino e tartufo nero di un panino che apre il servizio, ricco di note umami e sapide completate da altro tartufo nero, non fosse già abbastanza, grattugiato sopra. Il bouquet di insalata ha una crema di mandorla e arancia rossa. I grissini sono alle olive. La pagnottina di farina di grano arso ha un mix salutare di semi. Mi accompagna con piacere un olio evo siciliano di Trapani ottenuto dalla spremitura di olive cerasuole. Poi il tuorlo si rivela molto di più di un rosso d’uovo ma una sfoglia reale farcita con crema di patate, uovo e caviale e si adagia su crema di patate, erba cipollina e formaggio. Perché il gusto è ricco, il coinvolgimento dei sensi totale. Ci si concede alla gioia di piatti goduriosi e per questo bisogna lasciarsi andare seguendo autostrade di gusto che si aprono imperiose senza paura di velocità o limitazioni cui i sensi, padroni, richiamano. Il ragù napoletano scopro essere di manzo e di maiale, la polvere che sporca il bordo del piatto di pomodoro così come il concentrato. La bellezza perfetta della sfera cui richiama il timballo ha un decoro elegante e una preziosa luce. E’ un gesto d’amore, caldo, sensuale, quasi estremo che non dà tregua per quel ragù esagerato ma in equilibrio, seppur robusto e per volume importante. Il profiterole è un onesto bignè con cioccolata tiepida cui concedersi senza pensiero. Chiudiamo con la piccola pasticceria che mantiene le aspettative: un macaron al cocco, una tartelletta al passion fruit e un marshmellow alla liquirizia da masticare con disimpegno.